GIULIO CESARE FERRARI

 

Giulio Cesare Ferrari (Reggio Emilia 1867 – Bologna 1932) si iscrive nel 1887 alla Facoltà di medicina dell’Università di Modena e si laurea all’Università di Bologna nel 1892; entra come assistente nel celebre Istituto psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia.

Nel 1893 è nominato redattore capo della Rivista Sperimentale di Freniatria e vi rimane fino al 1906. Al decimo Congresso della Società Freniatrica Italiana del 1900 legge la relazione “Dei metodi pratici per le ricerche psicologiche individuali da adottarsi nei Manicomi e nelle Cliniche”, con cui fa conoscere, per primo, il “Mental Test” di Alfred Binet, e per il quale ottiene il premio Bonacossa della R. Accademia di Torino.

Nel 1901 Ferrari ottiene la libera docenza in Psichiatria ed è nominato membro della Società Medico-Psicologica di Parigi; inoltre, è incaricato dal Comune di Reggio Emilia di fondare una scuola speciale per “tardivi”. L’anno successivo è nominato medico primario e vice-direttore del Manicomio San Clemente di Venezia, trasferendosi nel 1903 come direttore nell’Istituto dei Frenastenici a Bertalìa (Bologna) (“Istituto Medico-Pedagogico”), dove sono ospitati alcune centinaia di ragazzi provenienti da tutta Italia: vi rimane fino al 1908.

Le sue esperienze e riflessioni su questa cruciale esperienza sono state via via pubblicate nella Rivista di Psicologia, da lui fondata nel 1905. È l’anno in cui Ferrari inizia un corso di Psicologia Sperimentale per i licenziati delle Scuole normali presso l’Università di Bologna; ma,  è nel 1912 che gli viene conferito l’incarico di Psicologia Sperimentale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia nella stessa Università, insegnamento che terrà fino alla morte.

Nel 1906 pubblica Tecnica Sperimentale di Psicologia dell’Attenzione e nel 1907 è nominato direttore del Manicomio provinciale di Bologna in Imola, che riorganizza con metodi nuovi, istituendo fra l’altro un Patronato per l’assistenza degli alienati dimessi.

Nel 1924 Ferrari è nominato direttore dell’Ospedale Psichiatrico F. Roncati di Bologna, e nello stesso anno è tra i fondatori della Lega Italiana per l’Igiene e la Profilassi Mentale.

Nel 1927 scrive il Manuale Pratico di Educazione della Volontà: una brillante sintesi del suo pensiero psico-terapeutico.

Nell’ultimo periodo della sua vita si occupa dei nuovi campi di applicazione della psicologia: la Psicotecnica e la Psicologia del Lavoro, su cui scrive lavori pionieristici.

L’attività psichiatrica e psicologica di Ferrari è orientata a difendere i diritti dei più deboli, ossia dei cosiddetti “giovinetti criminali” e dei “malati di mente”:  cercò soluzioni organizzative in grado di rendere efficace il recupero sociale di questi giovani i quali, ribadì spesso, non sono affatto criminali nel senso proprio del termine.

La “Colonia libera di deficienti gravi e giovani criminali”, da lui organizzata e diretta a Imola (1910-1914), costituisce l’esperienza più importante e pionieristica in questo campo; i risultati sono stati estremamente positivi, anche se l’iniziativa per varie ragioni fu troppo presto interrotta. Fu la prima del suo genere, e sul suo modello fu poi fondata nel 1930 la più famosa Colonia libera di Ferry Dobbes negli Stati Uniti.

Quella esperienza è stata illustrata in numerosi congressi e mediante conferenze tenute da Ferrari a Roma, Milano, Torino, Parigi. Inoltre, è stata analizzata in una serie di scritti, fra cui ricordiamo: “Colonizzazione dei Deficienti Gravi e dei Giovani Criminali”, pubblicato nella Rivista di Psicologia (1912).

Per questa sua attività verso la cosiddetta “criminalità giovanile” fu chiamato nel 1921 dal ministro Lodovico Mortara a fare parte della Commissione incaricata di elaborare un nuovo Codice Penale, presieduta da Enrico Ferri.

Nel campo della psichiatria Ferrari è stato fra i protagonisti nel tentativo di articolare maggiormente le istituzioni psichiatriche nel tessuto sociale. Egli si è impegnato in modo particolare sia in un’opera di riorganizzazione dei manicomi, destinati nelle sue intenzioni ad essere luogo di cura solo per gli “acuti”, sia in un’opera innovativa volta alla creazione di soluzioni organizzative extra-manicomiali. Basterà ricordare che egli è giunto a organizzare una istituzione che prefigura il manicomio aperto e la sua sostituzione con strutture più agili e per brevi periodi. E tutto ciò sulla base di un rinnovamento metodologico ed epistemologico della stessa psichiatria e della conseguente persuasione che sia possibile una integrazione del malato mentale nella società. A tale proposito è significativo che l’interesse di alcuni studiosi e psichiatri per questo aspetto dell’attività di Ferrari sia emerso negli anni in cui in Italia questi problemi erano all’ordine del giorno sotto la spinta delle esperienze e delle teorizzazioni di Franco Basaglia.

L’idea che ha guidato sempre la sua attività e le sue ricerche, riguarda il rapporto strettissimo che deve esserci tra la psicologia e la psichiatria. Secondo Ferrari solo a questa condizione è possibile riconoscere il carattere di singolarità di ogni caso clinico, e solo in una relazione individuale può darsi autentica comprensione e autentica cura del malato, mai riconducibile dunque, nel quadro categoriale che definisce in astratto o in generale una malattia.