Perché rileggere Simondon oggi,

filosofo della tecnica

di Giovanni Corazzini

 

Alcuni testi segnano indelebilmente la faticosa vicenda del pensiero umano, ne individuano tappe ineludibili e marcano tracce incancellabili; le loro pagine, per quanto vergate in tempi da noi ormai distanti, continuano a parlarci come se raccontassero di noi, della nostra circostanza, del nostro quotidiano. Eppure, molti di essi attraversano, dopo la loro pubblicazione, lunghe epoche d’oblio, dimenticanza e silenzio. Divengono sedimenti sepolti, eredità nascoste, che solo a volte esortano sparuti nugoli di curiosi ad una riscoperta e, con essa, dopo lunghi sforzi, all’assegnazione definitiva di quel posto che, per avverse vicende, hanno smarrito nel corso della loro storia.

È questo il caso dell’opera del filosofo francese Gilbert Simondon, la cui grandezza è rimasta per troppo tempo misconosciuta e il cui pensiero troppo facilmente etichettato con definizioni sbrigative e riduttive. La poliedricità del pensiero di Simondon, infatti, non consente di attribuire alle sue riflessioni una definizione univoca. Sebbene il suo nome, a tutta prima,  richiami forse, a chi pure ne abbia avuto notizia, solo le sue dettagliate disamine condotte sulla culture technique, non risulta corretto concepire Simondon come un tradizionale “filosofo della tecnica”. D’altra parte, nonostante l’innegabile centralità della sua originale prospettiva sugli objets techniques all’interno del complesso quadro della sua speculazione filosofica, nella sua tesi di dottorato, dal titolo L’individuation à la lumière de forme et d’information,  il filosofo francese esprime il primario bisogno, al contempo filosofico e scientifico, di risemantizzare il concetto di individuo.

Nel corso del ventesimo secolo, infatti, l’“attualità” di questa tematica non emerge esclusivamente dai dibattiti provenienti dall’area precipuamente filosofica: intorno agli anni cinquanta, ad esempio, i fisici di Copenhagen discutevano animatamente della possibile ridefinizione dell’individualità delle particelle subatomiche, esprimendo la comune convinzione che le prospettive tradizionali in merito non risultassero più adeguate, alla luce delle recenti scoperte della meccanica quantistica.

 

«Ho posto effettivamente questo problema: – scrive Schrödinger in risposta ad alcune questioni postegli da Pierre Auger – dove comincia, da che cosa dipende l’individualità? […] io non sono del tutto sicuro che l’individualità che noi sentiamo come persona, come individuo, sia reale, che essa non sia un’illusione»[1].

 

Simondon raccoglie questa ardua sfida, compiendo un’attenta, quanto appassionante, “scorribanda” nel campo della chimica, della fisica, della biologia, della psicologia e della sociologia del suo tempo. L’impiego del metodo analogico-trasduttivo, gli consentirà l’elaborazione e l’istituzione di paradigmi concettuali, costruiti a cavallo fra le diverse branche del sapere. Peraltro, le sue considerazioni epistemologiche si connettono all’elaborazione di una nuova ontologia, votata all’attribuzione del valore d’essere alla relazione, piuttosto che ai singoli elementi agenti all’interno di un campo, colti di per sé, ovvero prima dell’istante in cui si costituiscono in quanto relazione.

 

«Credo di poter legittimare l’analogia, – afferma a tal proposito il Nostro – credo di legittimare il paradigmatismo, e credo altresì di legittimare l’impiego di un’analogia attraverso l’utilizzo della nozione di trasduzione. […] qualora non sussistesse l’operazione trasduttiva della presa di forma, l’analogia costituirebbe un processo logico non valido: si tratta di un postulato. Questo postulato è al contempo ontologico e metodologico»[2] .

 

In tal senso, la sua meticolosa ricerca sull’ontogenesi dell’individuo si configura altresì come progressiva elaborazione di una nuova metodologia per la ricerca, votata al recupero delle sinergie transdisciplinari a scapito degli asfittici specialismi “scientisti”.

 

  1. Cenni biografici e bibliografici

 

In questo contesto, ritengo sia opportuno fornire alcune informazioni in merito alla vita e alle principali pubblicazioni di Simondon. Il filosofo francese, infatti, continua ad alimentare meramente interessi limitati a ristretti circoli di amateurs, nonostante la concretezza delle sue riflessioni e la loro indubbia attualità. È ben vero, peraltro, che la scarsa diffusione del suo pensiero scaturisce altresì da alcune vicende strettamente biografiche del Nostro. Come testimonia Mouillaud[3], infatti, sin dalla sua giovinezza questi manifestò un carattere schivo e meditabondo: votato esclusivamente alla ricerca scientifica, sebbene conoscesse la realtà della sua epoca e le numerose problematiche d’ordine politico-sociale che caratterizzarono la Francia degli anni ’60-70, questi si mantenne sempre relativamente distante dagli “entusiasmi” che agitavano allora menti e coscienze; fu forse anche per questa ragione che, dopo un primo manifesto interesse per i suoi scritti, immediatamente successivo alla loro pubblicazione, la sua filosofia attraversò un lungo oblio, dal quale, come un fiume carsico, riemerse solo intorno alla seconda metà degli anni novanta.

Nato a Saint-Etienne il 2 ottobre 1924, Gilbert Simondon condusse i suoi studi secondari presso il liceo della sua città natale, frequentando, nello stesso tempo, il mondo dell’industria. L’esperienza diretta di questa realtà, gli concesse di dialogare e confrontarsi con ingegneri e tecnici, sviluppando in tal modo il suo interesse per la tecnologia e le sue evoluzioni. Nel 1958, discusse la sua monumentale tesi di dottorato in presenza di docenti e colleghi del calibro di Georges Canguilhem, Maurice Merleau-Ponty e Jean Hyppolite; nello stesso anno, l’editore Aubier pubblicherà la sua tesi di dottorato complementare dal titolo Du mode d’existence des objets techniques, interamente dedicata al valore squisitamente culturale del “fatto tecnico”. Alcuni anni più tardi, la casa editrice P.U.F. darà alle stampe la prima e la seconda parte de L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information, cui seguirà, circa 25 anni dopo, la pubblicazione della terza ed ultima parte dell’opera, con il titolo L’individuation psychique et collective.

Pochi mesi dopo l’edizione del testo, Simondon morirà il 7 febbraio 1989 in conseguenza di una violenta sofferenza psichica[4].

 

  1. Per un primo approccio ai contenuti fondamentali della riflessione di Simondon

 

Come è già stato ampiamente osservato da alcuni dei più autorevoli critici francesi del pensiero di Simondon, questi sviluppa la tematica dell’individuazione a partire da alcune frammentarie suggestioni presenti nell’opera del pensatore Henri Bergson.

Ne L’évolution créatrice (1907), Bergson afferma:

 

«mentre la suddivisione della materia in corpi isolati deriva dalla nostra percezione, mentre la costituzione di sistemi chiusi di punti materiali deriva dalla nostra scienza, il corpo vivente è stato isolato e chiuso dalla natura stessa. Esso è composto di parti eterogenee che si integrano a vicenda, e compie svariate funzioni che si implicano reciprocamente. È un individuo, e di nessun altro oggetto si potrebbe dire altrettanto, nemmeno del cristallo, poiché il cristallo non presenta eterogeneità di parti né diverse funzioni»[5].

 

Henri Bergson si attiene alla classica definizione di individuo come “elemento indivisibile”, la cui specificità consiste nell’interazione di molteplici e diversificate funzioni esclusivamente all’interno del tracciato dei suoi precisi confini strutturali. Di conseguenza, l’ottica bergsoniana si iscrive all’interno di quelle classiche filosofie di marca sostanzialista che assimilano l’autonomia funzionale dell’individuo ad una sorta d’indipendenza sostanziale, tanto da tangibili nessi con gli altri esseri quanto da quelli con l’ambiente materiale.

Al contrario, Simondon ritiene che l’individualità consista nell’esito finale di un discontinuo processo di ristrutturazione di un sistema in condizioni di equilibrio instabile (metastabile) e che la sua esistenza consista nella conservazione di questo imprescindibile legame con la sua genesi. Peraltro, la peculiarità dell’individuo non risiede nella sua autonomia-indipendenza e nella sua organica finitezza, quanto piuttosto nella sua indefinita capacità di originare nuove dinamiche strutturazioni, sia all’esterno sia all’interno dei suoi “confini materiali”. Pertanto, Simondon opera una definitiva ricomposizione della tradizionale opposizione fra essere e divenire, giungendo ad affermare che: «in un certo qual senso, si potrebbe affermare che il solo principio sul quale ci si può fondare consista in quello della conservazione dell’essere attraverso il divenire»[6]. Ponendo nuovamente in parallelo il pensiero di Simondon con le succitate osservazioni di Bergson, non risulta lecito escludere il cristallo dalla definizione di individuo, giacché in presenza di condizioni esterne favorevoli, quest’ultimo può agire da germe strutturale per una nuova operazione di individuazione. Di conseguenza, l’individualità del cristallo “giace sui suoi confini”, ovvero risiede al limite del suo reticolo, nei potenziali inattualizzati (ma attualizzabili), in grado di innescare ulteriori ontogenesi. Pertanto, concepire la genesi dell’individuo e la sua evoluzione a partire dai concetti classici di forma e materia e più ancora di sostanza – secondo la definizione che se ne fornisce tradizionalmente – non risulta soddisfacente secondo la prospettiva elaborata da Simondon. In questo contesto, si è peraltro focalizzata l’attenzione sul cristallo e, con esso, sul processo che presiede la sua costituzione, giacché, per dirla con Muriel Combes, quest’ultima costituisce il primo e più semplice paradigma per la comprensione del concetto di operazione d’individuazione in Simondon[7].

Inoltre, la differenza costitutiva fra individui fisici (ad esempio il cristallo) e individui viventi risiede nella capacità che questi ultimi posseggono di originare individuazioni endogene, ovvero strutturazioni supplementari (individualizzazioni) all’interno del “tracciato” della loro struttura organica. Pertanto, l’individuo vivente presenta un nucleo strutturato (individuato) e una sfera di potenziali inattualizzati che, secondo la definizione di Simondon, corrispondono alla sua riserva di preindividuale, ovvero di energie non espresse all’interno del perimetro del “nucleo individuato”, che, tuttavia, gli co-appartengono. Questo “ambiente associato” che si origina contestualmente all’individuo durante la sua individuazione garantisce le sue future dinamiche, il sorgere di “nuove fasi” all’interno del suo sistema, in altre parole, la “vitalità” dell’individuo stesso.

È ben vero, infatti, che l’accusa mossa da Simondon contro le classiche disamine dell’individuazione risiede nella mancata comprensione della complessità del suddetto fenomeno. In passato, ritiene il Nostro, si è partiti dall’individuo per risalire alla sua genesi e, con questo, se ne è giustificata l’esistenza singolare nei termini di una sorta di mancanza, di parzialità, conseguenti ad una separazione dal tutto originario, dotato, soprattutto nelle teorie di matrice sostanzialista, di un inconcusso primato ontologico. Al contrario, Simondon opera una sorta di rivoluzione copernicana nell’alveo delle speculazioni condotte sull’individuazione, dall’epoca “classica” sino a quella moderna. Come si avrà modo di notare in seguito, anche Simondon concepisce una realtà preindividuale dalla quale si originerebbero le diverse individualità, tuttavia questi la connota come stadio originario dell’essere, piuttosto che come sostanza prima e originaria, sistema monofasico soggetto a future sovrasaturazioni e conseguenti strutturazioni di campo, perché in una condizione di equilibrio metastabile e, pertanto, di disparazione interna.

Sulla scorta di queste osservazioni, risulta piuttosto immediato comprendere il decisivo distacco operato da Simondon nei confronti della tradizione filosofica. D’altra parte le sue riflessioni sull’operazione di individuazione si sviluppano a partire da una serrata, quanto argomentata, polemica diretta contro i due grandi capisaldi del pensiero occidentale: Platone ed Aristotele. La scarsa considerazione palesata dallo Stagirita e, più ancora dal suo maestro nei confronti dell’ontogenesi (id est dell’istante di relazione fra i fattori interagenti in un processo di “formazione” come elemento discriminante per la comprensione del concetto stesso di individualità) avrebbero causato la millenaria indifferenza filosofica nei riguardi dell’istante concreto in cui si effettua l’individuazione. L’individuo non consiste né nell’imposizione di una forma su di una materia informata (secondo quanto sostenuto dalla corrente sostanzialista) né nell’emersione di una forma strutturante dal cuore di una materia “apparentemente” amorfa (ilomorfismo di matrice aristotelica). Al contrario, l’individualità si configura e resiste come sistema polifasico di relazioni dinamiche, fondato sulla legge della transizione di fasi. Ciascuna di esse, a sua volta, non costituisce una “sostanza” in senso tradizionale, quanto piuttosto una porzione di spazio, dotata, in ciascuno dei suoi punti, del medesimo stato di equilibrio. Tuttavia, l’autenticità di ciascun individuo consiste nell’inestricabile interazione fra ciascuna delle sue fasi e nella permanenza di un portato non-individuato, carica preindividuale che Simondon assimila tanto all’apeiron anassimandreo quanto alla natura naturante di matrice spinoziana. Ciascun discorso scientifico sul vivente (come sull’inorganico) che prescinda da questa costitutiva “sistematicità” dell’individuo risulta frammentario, sin troppo specialistico e comunque asfittico, privo di un concreto ritorno oggettivo.

D’altra parte, si ritiene ormai un acquisto teorico largamente condiviso il fatto che, ad esempio, il processo di individuazione psichica (o personalizzazione, secondo la classica definizione junghiana) del soggetto non possa prescindere dall’interazione, meglio, dalla relazione anche con l’ambiente sociale, antropologico e storico-geografico. In altri termini, la fase psichica si struttura senza soluzione di continuità, come relazione, con quella sociale.

Per chiarire ulteriormente il concetto fondamentale di relazione in Simondon, mi sia consentito di impiegare paradigmaticamente – e, pertanto, in accordo con il metodo illustrato e impiegato da Simondon – la definizione elaboratane dalla moderna informatica. Con relazione s’intende, generalmente, il legame che connette campi e consente di costruire record formati dall’integrazione di suddetti campi. Per record s’intendano i campi che costituiscono informazioni unitarie. Peraltro, proprio il concetto d’informazione costituisce un elemento centrale per la speculazione simondoniana. Tuttavia, per il momento, vorremmo focalizzare precipuamente l’attenzione sugli agenti considerati dalla definizione testé riportata: non piuttosto singoli elementi, strutturalmente conchiusi e definiti collaborano alla costituzione di un’autentica relazione, quanto piuttosto campi, ovvero porzioni di spazio, all’interno delle quali siano rilevabili forze, energie e pertanto interazioni. Un individuo che conservi la sua genesi, nel senso già chiarito, consiste di per sé ed ion modo proprio in un campo, dotato di quelle predisposizioni strutturali ed operazionali che lo stimolino ad ingenerarne di ulteriori. Si potrebbe pertanto concepire la realtà tratteggiata da Simondon come una dinamica di relazioni di relazioni. Non va neppure trascurata, a partire da questi rilievi, l’indiscussa importanza che, soprattutto a partire dalla seconda metà del XIX secolo acquisì la nozione di campo dapprima in seno alle scienze naturali e, solo in seguito, anche in quelle umane (a tal proposito, e a guisa d’esempio, basterebbe ricordare l’uovo di Kurt Lewin).

 

«Lo sviluppo  [della teoria dei campi] – osservò a suo tempo Infeld – nella seconda metà del diciannovesimo secolo introdusse idee d’importanza decisiva […]. La teoria di Maxwell, che governa i fenomeni elettrici e ottici, è una teoria di campo perché in essa l’elemento essenziale è la descrizione delle variazioni che si propagano con continuità nello spazio e nel tempo»[8].

 

Simondon riconobbe la portata “rivoluzionaria” di questa scoperta compiuta nell’ambito della fisica che per certi versi avviò quell’inarrestato processo che la indusse a costituirsi come scienza unitaria. Proprio sulla scorta di quanto osservato nel settore della fisica, il Nostro giunge ad affermare che, senz’ombra di dubbio, uno dei più grandi regali che le scienze “dure” offrirono a quelle umane (a partire dalle teorie cognitiviste nell’ambito della psicologia) consistette proprio nell’elaborazione della nozione di campo.

Il vivo interesse che Simondon nutriva nei riguardi della psicologia e della sociologia non scaturì esclusivamente dal suo diretto contatto con le lezioni condotte in quegli anni dal suo maestro Merleau-Ponty. Il Nostro insegnò infatti psicologia e pedagogia, ispirato, anche in questo, dalla sua vena enciclopedica, che lo induceva a concepire ciascuna espressione dello spirito umano come concreto inveramento della sua naturale propensione all’elaborazione di piani simbolici per la comprensione e la costruzione della condition humaine.

Pertanto, anche a partire dalle sue rigorose conoscenze di psicologia e sociologia, Simondon aveva intuito la necessità scientifica di consentire una stretta collaborazione fra le diverse scienze. È ben vero, infatti, che il pensatore francese mirasse ad una sinergica reticolazione dei traguardi teorici di ciascun settore disciplinare, anche e soprattutto di quelli socio-psico-pedagogici. Come egli stesso attesta in un breve articolo introduttivo alla storia della psicologia moderna «sarà alquanto opportuno un giorno costituire un nesso fra i diversi domini dell’inevitabile specializzazione del lavoro delle altre discipline che allo stesso modo si occupano dell’uomo: sociologia, antropologia, e etnologia»[9], processo peraltro largamente stimolato dalla prospettiva sistemica che soggiace alla sua filosofia e che, come si è visto, assegna all’individuo l’identità di relazione e, per questo, di campo.

Quale posto occupa, in questo complesso discorso, la tecnologia? Per la verità, non risulta arduo comprendere che un pensatore votato alla riarticolazione collaborativa e compartecipativa delle scienze non potesse non ammettere, nell’alveo dei saperi, un pensiero così attuale e di rilevante portata come quello tecnologico. Peraltro, le sue osservazioni sull’individuazione si attagliano altresì alla sua specifica trattazione degli oggetti tecnici. Ciascuno di essi si configura, infatti, come l’esito compiuto di un graduale, quanto discontinuo, processo di ristrutturazione sistemica. «Il reale perfezionamento delle macchine – scrive a tal proposito Simondon – non corrisponde ad un accrescimento dell’automatismo, quanto piuttosto al fatto che al funzionamento di una macchina soggiaccia un certo margine di indeterminazione»[10]. Seppure non esplicitamente, anche da questo significativo passaggio, si coglie la rilevanza che ricopre, per il pensiero di Simondon, il concetto di apertura e, con esso, di indeterminazione dei confini  – strutturali ed operativi –  di un’“entità” (sia essa fisica, vitale o, come nel caso anzidetto, propriamente tecnologica).

L’oggettivazione del percorso teorico-inventivo-ideativo dell’“uomo di scienza” risiede infatti nella produzione della dimensione fenomeno-tecnica (à la Bachelard). Di conseguenza, ciascun oggetto tecnico costituisce l’individuazione, la concretizzazione e la “ricostruzione” di un campo teorico e, come tale, l’oggetto possiede uno statuto “esistenziale” (ed “ontologico”) pari a quello di qualsiasi altro individuo.

Peraltro, Simondon palesò l’occorrenza di “istituzionalizzare” un pensiero psico-sociologico per e sulla tecnica, che si occupasse a sua volta, more scientifico, anche e soprattutto degli effetti antropologici e sociali, prodotti dall’inesorabile affermazione della technicité (sfera tecnica).

Questa riflessione, tuttavia, doveva progredire a partire da una previa conoscenza delle meccaniche  e dinamiche endogene di ciascun oggetto e dei suoi sviluppi, affinché si evitasse la fin troppo inflazionata tendenza a compiere meta-riflessioni su argomenti scarsamente noti o troppo superficialmente trattati. Un pensiero della tecnica, dunque, ed un pensiero sulla tecnica: entrambi atteggiamenti responsabili e rigorosi, che scongiurassero le abbondate retoriche tecnofobiche e tecnocratiche di marca irrazionalista e/o pragmatista. Sferzanti ed appassionate risultano, a tal proposito, le affermazioni contenute nell’Introduzione al suo saggio dal titolo Du mode d’existence des objets techniques: «La cultura – chiarisce Simondon – ha eretto un sistema di difesa contro le tecniche […]. La cultura si comporta nei confronti dell’oggetto tecnico come l’uomo contro lo straniero quando si lascia trascinare dalla xenofobia primitiva»[11]. Per altri versi «[i]l desiderio di potenza consacra la macchina come mezzo di supremazia, facendone il moderno filtro»[12].

Da questo rapido e riassuntivo quadro concettuale del pensiero di Simondon emerge tuttavia il senso pieno del suo metodo analogico-paradigmatico-trasduttivo, con la cui parziale disamina si è voluto inaugurare questo breve contributo.

A contempo, non si tratta, alla maniera del Descartes delle Regulae ad directionem ingenii, di individuare un metodo unico per le scienze (Mathesis universalis), quanto piuttosto di considerare le specifiche differenze di ciascun settore in vista di un dialogo aperto, mobile, reticolare fra le diverse discipline. Trasdurre, infatti, significa modulare un’energia, in modo tale che il processo che presiede il suo trasporto acquisisca un ruolo predominante sulla fonte che la produce ed il sistema ricettore. L’immagine del mondo e, con essa, quella dell’uomo che Simondon prospetta nei suoi scritti si configura come una sorta di fitta rete di scambi informativi, all’interno della quale fenomeni di modulazione e demodulazione, potenziamento e trasformazione testimoniano la “spina dorsale” del sistema.

Per la verità, quest’impostazione ha già trovato esiti produttivi nell’ambito delle “scienze dure”. La teoria generale dei sistemi di Ludwig von Bertalanffy, la teoria delle catastrofi di René Thom, la teoria della complessità di Ilya Prigogine hanno attestato largamente che gli sviluppi della scienza, e, con essa quelli di chi la produce e l’incrementa, risiedono nella ouverture piuttosto che nei soffocanti specialismi.

La scienza del mobile perpetuo non giustifica più i razionalismi regionali di bachelardiana memoria o per meglio dire ne recupera strettamente quella auspicata progettualità di trasformarsi in un rationalisme appliqué di carattere largamente transdisciplinare.

 

 

 

 

  1. Rileggere Simondon

 

A tutt’oggi, in Italia, disponiamo esclusivamente della traduzione della terza parte della tesi di dottorato di Simondon, L’individuazione psichica e collettiva – oggi alla sua seconda edizione – oltre ad una parziale traduzione dell’Introduzione alla sua tesi di dottorato complementare, Du mode d’existence des objets techniques[13]  e a quella, altrettanto frammentaria, di un lungo inedito sulla storia dell’individuazione[14], pubblicato integralmente in Francia solo nel 2005, insieme alla versione completa (e rivista) delle tre sezioni de L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information.

L’edizione italiana de L’individuation psychique et collective è accompagnata da una Prefazione di Muriel Combes e da una Postfazione di Paolo Virno, traduttore e curatore del testo.

Come ho già avuto modo di osservare, soprattutto in Italia, Simondon continua a stimolare una comunità ristretta di lettori, che peraltro predilige le sue riflessioni condotte nel campo delle scienze umane, isolandole dal più vasto alveo teorico in cui si inscrivono. D’altra parte, è ben vero che questo fenomeno costituisce una naturale conseguenza della “sfortuna” del pensiero simondoniano: l’infelice scelta, avallata dallo stesso autore, di scorporare i capitoli dedicati ai processi di individuazione psichica e collettiva dal complesso della sua tesi (pubblicando nel 1964 i capitoli dedicati alla chimica e alla biologia – cui solo nel 1995 verrà integrato quello sulla fisica, che l’Autore non aveva destinato alle stampe – con il titolo L’individu et sa genèse physico-biologique e solo nel 1989 quelli sulle scienze umane) ha spesso indotto a concepire quest’ultimi come uno scritto autonomo, comunque in connessione solo indiretta con le sezioni precedenti.

Ciò ha esortato a cogliere le suggestioni simondoniane che concernono strettamente la sfera della sociologia (e della politica, in senso lato). Questa vulgata si è tradotta nell’accostamento di alcune conseguenze delle tesi sostenute dal Nostro con la riflessione che Michel Foucault dedicò, durante alcuni noti corsi universitari, alla dimensione della biopolitica[15]. Sebbene non manchino indubbie connessioni fra il pensiero simondoniano e quello foucaultiano – che tuttavia andrebbero colte piuttosto nell’ambito della visione della cultura quale sistema di fasi per l’uno e sistema di discorsi per l’altro – risulta piuttosto vincolante la considerazione del mero contributo sociologico di Simondon.

La problematica si rivela di scottante attualità, se è vero, com’è vero, che sino ad ora l’unica motivazione per “leggere Simondon” in Italia è apparsa quella di riconsiderare il ruolo politico dell’individuo e, con esso, della moltitudine in seno alla sfera sociale[16]. Peraltro, questa chiave di lettura risulta, per certi versi, storiograficamente riduttiva e limitante; per questo motivo, parafrasando la Stenger, ci si domanda «come ereditare da Simondon» nel più vasto campo dei saperi e, pertanto, della cultura, concepita, cassirerianamente, come complesso di forme simboliche, ovvero di concretizzazioni di sforzi umani e tangibili manifestazioni dei suoi processi “adattativo-creativi”.

Come emerge dalle analisi sinora condotte sulla filosofia di Simondon, ritengo che l’apporto del pensatore francese alla crescita del pensiero critico ed autonomo prospetti soprattutto un articolato programma di proposte metodologiche.

Soffermandosi strettamente sulla disamina delle considerazioni di Simondon nel campo delle scienze umane, si desidera pertanto fornire una lettura alternativa a quella a tutt’oggi in voga fra i suoi studiosi italiani. A tal proposito, occorre notare che le indicazioni fornite dal filosofo in merito ai processi che presiedono l’individuazione psichica e collettiva non costituiscono, per dirla con Bergson, pratiche ricette per l’azione politica o socio-antropologica, quanto piuttosto una disamina rigorosa di un preciso oggetto di scienza, quello relativo ai fenomeni di personalizzazione endogeni al soggetto e alla loro integrazione con le dinamiche che guidano i percorsi di inserimento nella comunità.

Dalle ricerche del filosofo francese non scaturisce una proposta politica, quanto piuttosto una nuova impostazione per lo studio dell’uomo, del suo contesto e delle sue perpetue implementazioni, quali naturali conseguenze di quella causalità ricorrente che presiede le dinamiche di campo. Attenendoci all’ambito che compete le sue ricerche nei domini delle scienze dell’uomo, potremmo riassumere questa posizione con uno slogan: nessuna psicologia senza sociologia, nessuna sociologia senza psicologia. Naturalmente, anche in questo richiamo ritengo opportuno intravedere un intento metodologico di ben più ampio respiro rispetto alla semplice integrazione dei suddetti ambiti disciplinari.

Ciascuna scienza, nel momento in cui dispone e ordina le sue strategie  euristiche, isola dall’alveo della realtà, complessa, multiforme e poliedrica, l’oggetto della sua indagine. Accade così che il medesimo referente possegga sensi diversi a seconda dell’analisi che se ne conduce. Peraltro, il complesso di queste ottiche non coglie l’essenza dell’oggetto in questione, giacché quest’ultimo rimane comunque interno alle reti di relazioni (e fra relazioni) di cui si compone la conoscenza. Queste ultime risultano peraltro profondamente segnate dall’indelebile marchio del suo autore, che consiste tanto nella sua finitezza quanto nella sua continua rivedibilità. In accordo con Simondon, si potrebbe giungere ad affermare che persino il processo gnoseologico consiste in un’operazione d’individuazione, concepita come relazione trans-attiva (o trasduttiva) fra campi, che, nello specifico, s’identificano con il soggetto conoscente (o campo conoscente, maglia di relazioni) e l’oggetto conosciuto (o campo conosciuto, maglia di relazioni).

Nel campo della psicologia e della sociologia, peraltro, il processo di isolamento dell’oggetto di scienza possiede delle connotazioni diverse rispetto a quelle che definiscono gli elementi appannaggio delle scienze naturali. Questo fatto non deriva strettamente dalla pur complessa “separazione” del soggetto conoscente dall’oggetto conosciuto, quanto altresì dalla irrinunciabile ricorrenza biunivoca che interconnette i due campi d’indagine in azione. Se infatti è ben nota la battuta per la quale il vero regno della molecola coinciderebbe con la sfera esaminata dalla chimica piuttosto che con quella della fisica, soprattutto a partire dalle vicende che ne hanno caratterizzato le ultime fasi, non risulta così agevole definire i possibili confini all’interno dei quali circoscrivere l’oggetto-uomo. Anche a partire da questi rilievi, si spiegano le cagioni per cui Simondon manifestò l’urgenza di elaborare una psicosociologia che, sfruttando le indiscutibili risorse del metodo analogico-trasduttivo, superasse gli asfittici limiti intra-disciplinari di ciascuna delle suddette sfere d’indagine, orientandosi all’elaborazione di un oggetto ben più articolato e complesso.

In un breve, quanto significativo scritto dedicato all’adattamento, Carl Gustav Jung aveva riassunto lucidamente la sua prospettiva sui rapporti fra individuo e collettività[17]. Lo psicologo riteneva che i due fattori si ponessero in un reciproco rapporto conflittuale, a tal punto che il processo di personalizzazione deriverebbe da una sorta di intestina battaglia fra il soggetto e la sua comunità di appartenenza. L’inconscio collettivo, che costituisce l’asse portante di tanta parte delle sue ricerche, corrisponderebbe infatti ad una sorta di ancestrale lascito della comunità all’individuo, quale monito della sua origine, nonostante la sua progressiva separazione dall’indeterminazione che soggiace al collettivo. Non è da escludersi che l’acquisizione di una identità individuale scaturisca frequentemente da un processo di competizione tra individui, di rottura con la comunità d’origine. Al contempo, questo fenomeno non sembrerebbe possedere le proprietà negative che Jung sembrerebbe  assegnargli. La personalizzazione –  secondo Jung – consisterebbe in un progressivo distacco dalla comunità, in una appropriazione del Sé in netto contrasto con la collettività.

Si potrebbe per certi versi, assimilare questa riflessione con quella compiuta da Simondon in merito al processo di individuazione. La strutturazione consiste infatti nell’attualizzazione di potenziali irrisolti, ovvero nella costruzione processuale di una “forma” a partire da un primo originario informato (preindividuale). Si potrebbe così riconoscere in questo amorfo “la comunità” di origine da cui, secondo Jung, si distaccherebbe l’individuo. Tuttavia, la collettività di cui discute Simondon non costituisce il terminus a quo del processo (per intenderci, l’inconscio collettivo junghiano) quanto piuttosto il terminus ad quem di un percorso evolutivo del “soggetto”. Peraltro, come ha pure osservato Muriel Combes, la costruzione della “fase collettiva” da parte dell’individuo interagisce contestualmente con l’elaborazione di quella psichica. Ci si individua psichicamente e collettivamente[18]. L’emersione del transindividuale (fase d’innesco di un’individuazione collettiva) consente una ristrutturazione fattuale dello psichico, che pertanto non si configura come un blocco monolitico, una sostanza, bensì come una “area” dai confini mobili, soggetti all’ampliamento o nei casi più gravi, alla sua distruzione.

A monte di ciò, risulta ancor più manifesto lo scopo teorico e metodologico di Simondon, che risiede nella progressiva dimostrazione dell’insufficienza di analisi parziali e dottrinali del “fenomeno uomo”. D’altra parte, riecheggiando la nota affermazione bachelardiana, nella realtà materiale non c’è spazio per il semplice. In altri termini, ciascun oggetto di scienza rivela una certa complessità intrinseca che si palesa con maggiore evidenza nell’ambito delle scienze umane o, più in generale, nel corso di ogni trans-azione con gli altri oggetti scientifici (dotati, come si è visto, di uno statuto marcatamente fenomenico); solo un discorso complesso e stratificato, per dirla con Foucault, può garantire un’immagine adeguata della realtà.

È ben vero, altresì, che l’eredità di Simondon risiede in un ulteriore elemento di straordinaria portata squisitamente culturale. I paradigmi impiegati da Simondon per lo scandaglio e la verifica dei processi psicologici e sociologici provengono dalla sfera delle scienze naturali e più ancora da quello della tecnologia. La trasduzione, sia essa concepita come tipologia di modulazione dell’informazione o come dinamica che soggiace ai processi mentali, si configura come un apporto di notevole potenza euristica, un regalo che la tecnologia fornirebbe alle scienze umane, la cui portata risulta paragonabile solo a quella proveniente dal concetto di campo. In tal senso, Simondon traduce concretamente quell’aspirazione, palesata in apertura della sua tesi complementare, di abbattere i solidi muri che la cultura  –  soprattutto quella di marca umanistica – avrebbe innalzato contro le tecniche e, con esse, contro il complesso intreccio teorico-pratico che le costituisce, le sorregge e le incrementa.

Occorre osservare che, peraltro, l’uomo coincide con le sue azioni, ovvero con le multiformi operazioni poietiche che traducono i suoi bisogni adattativi. Sebbene ciascuno di essi possegga, a livello teorico, un proprio linguaggio e pertanto traduca una specifica e circoscrivibile immagine del mondo, ciò non implica che ciascuna di esse risulti irrelata con le altre. Peraltro, il soggetto appare  profondamente influenzato dalle conseguenze delle sue stesse elaborazioni. In altre parole, l’uomo risulta essere tanto soggetto quanto oggetto delle sue costruzioni teorico-pratiche. In ciò risiede il senso profondo di quanto si è voluto definire implementazione. Gli effetti più immediatamente constatabili di questi processi di causalità ricorrente risultano evidenti dalle ricadute sociali che la medicina ha ottenuto nel suo lungo percorso di formazione. Sebbene, infatti, sia breve la vita del singolo è lungo il processo che presiede all’elaborazione di una scienza: l’arte è lunga, la vita breve, recita una nota battuta ippocratica, ed anche in ciò è possibile rintracciare una sorta di teleologia che presiede ogni operazione umana.

Perché dunque rileggere oggi Simondon? Come si è visto, il filosofo francese costituisce un qualificato punto di riferimento per tutte quelle ricerche che si orientano verso l’abbattimento dei confini intra-disciplinari, alla volta di resoconti complessi del fenomeno umano e del suo contesto.

A quanto detto sinora in merito al valore squisitamente culturale dell’impiego di un metodo analogico-trasduttivo che fondi la sua efficacia sulle salde basi della conoscenza scientifico-tecnologica, si aggiunga, altresì, che Simondon si servì della nozione di trasduzione per consentire una prima, sommaria, ma pure suggestiva e largamente condivisibile interpretazione di certi fenomeni di massa. In un inedito dal titolo L’amplification dans le processus d’information, Simondon impiega il paradigma tecno-scientifico dell’amplificazione – che peraltro costituisce un fondamentale nodo concettuale per tanta parte delle sue disamine –  ai phénomènes de foule, dimostrando l’applicazione concreta di paradigmi costruiti in settori disciplinari diversi a diversi e disparati fenomeni.

Come ha recentemente osservato Vincent Bontems

 

«Simondon propone di applicare il primo tipo di amplificazione [amplificazione trasduttiva] ai fenomeni di massa, ovvero al modo in cui gli individui risultano sopraffatti da emozioni collettive e sembrano pertanto contaminarsi gli uni con gli altri. Il secondo [amplificazione modulante] consente di comprendere, fra gli altri, i fenomeni di auto-regolazione sociale, ma altresì, e soprattutto, il modo in cui, a partire dalla polarizzazione delle scale dei valori (religione, morale, ecc.), certe forme di inquadramento comportamentale operano una limitazione dell’attività umana in regime permanente per assicurare in modo più efficace le condizioni della riproduzione sociale. Il terzo [amplificazione organizzante] caratterizza gli sviluppi ricorrenti dei “processi di civilizzazione” […] come le organizzazioni scientifiche o tecniche e lo sviluppo o il rinnovamento delle reti materiali che risultano ad esse associate, in altre parole le strutture dinamiche socialmente integrate»[19].

 

Le suddette considerazioni confermano la rilevanza della proposta metodologica di Simondon, evidenziando il fatto che la costruzione di paradigmi concettuali scaturisce dalla compartecipazione del lavoro di ricerca di specialisti di ciascun settore disciplinare.

È pertanto possibile studiare le dinamiche sociali e quelle psicologiche anche a partire dall’impiego di nozioni elaborate nell’alveo fertile della tecnologia, d’altra parte, come si è già avuto modo di illustrare, l’uomo consiste nel risultato delle sue elaborazioni. D’altra parte, come a suo tempo suggerì Canguilhem una delle sfide più allettanti per il pensiero contemporaneo consiste nello studio della macchina e delle sue strutture a partire dall’organizzazione dell’uomo. Peraltro, come dimostrano le considerazioni di Bontems, questa traiettoria risulta percorribile anche in senso inverso.

Inoltre, l’impostazione simondoniana si scherma al contempo dai rischi insiti negli eccessi pantecnologici che, a suo tempo, palesarono i protagonisti della “stagione cibernetica”. Se infatti condivido, con Simondon, l’indubbio apporto della lezione di Wiener e di quanti ne sposarono le suggestioni in merito ad una visione più pacifica dei rapporti fra uomo e macchina, risulta altrettanto  distante il riduzionismo insito nella prospettiva wieneriana[20]. L’impiego di paradigmi provenienti dall’alveo della tecnologia per l’incremento dell’euristica dell’uomo non deve tuttavia indurre, per altri versi, a comprimere la sua specificità all’interno di schemi fissi.

D’altra parte, l’innovazione di Simondon consiste proprio nell’aver avversato l’utilizzo di rigide schematizzazioni per la disamina della circostanza umana, quanto piuttosto nella promozione di una mobilità metodologica, votata all’apertura e con essa alla modulazione dei contenuti provenienti da ciascun settore di ricerca durante i percorsi che presiedono le loro comunicazioni. Privilegiare le differenze, come impone ogni operazione allagmatica[21] – anche e soprattutto nel settore della gnoseologia – significa, a sua volta, potenziare le analogie che, per dirla con Bruno de Solages, citato da Simondon, consistono in una identità di relazioni piuttosto che in una relazione di identità.

Che sia dunque questo il senso profondo del profetico auspicio simondoniano che prevede, pur nel suo eccesso ottimistico, l’istituzione di nuove professioni del futuro, quali, fra le altre, lo psicologo e il sociologo della tecnica, la cui attività risiederebbe nel progressivo superamento di quell’alienazione dalla più ampia sfera della cultura in cui sarebbe irrimediabilmente incappata la tecnica? «La maggiore causa d’alienazione nel mondo contemporaneo – osserva a tal proposito il Nostro – risiede in questo disconoscimento della macchina, che non consiste in un’alienazione causata dalla macchina, quanto piuttosto nella mancata conoscenza della sua natura e della sua essenza»[22]. La transdisciplinarità fondata sul fertile interscambio dei materiali e dei contenuti di ciascuna delle sfere delle cosiddette due culture (quella scientifica e quella umanistica) garantirebbe, al contrario, un recupero di quel senso del tutto che incarna da sempre lo spirito della Kultur.

Occorre pertanto rileggere Simondon quale alternativa a quel infruttuoso destino che vede sempre più spesso gli specialisti di ciascun settore disciplinare (soprattutto nel campo delle scienze umane) accapigliarsi gli uni contro gli altri, pregiudicando la libera circolazione e l’interattiva relazione delle loro ricerche. Si potrebbe forse intravedere, in questo, una sorta di procedimento votato all’affermazione di una certa multimedialità dei saperi, se è vero che, con essa, si intende generalmente quel metodo atto a fornire informazioni per mezzo di combinazioni di diversi tipi di dati.

In ciò risiede il progetto di una psicosociologia come scienza del limite, che si alimenta e cresce grazie alle sinergie delle ricerche individuali e collettive, alla volta di un quadro sempre più dettagliato, complesso e organico dei fenomeni umani. Una psicosociologia, oserei dire, illuminista che vive dell’acquisizione di dati e della rielaborazione degli stessi, piuttosto che di retoriche visioni teoriche.

Si tratta, pertanto, di abbandonare quei modello di ricerca che sagacemente Max Weber intravide nelle strategie dei tanti specialisti senza cultura e che Ortega y Gasset etichettò, a sua volta, come furetti della scienza, alla volta di un effettivo ed efficace recupero di un organismo dialogante e produttivo, atto ad incrementare la critica e la crescita della storia delle scienze umane e naturali e, con esso, per quanto detto sinora, quello del loro artefice materiale.

Per le scienze del domani sarebbe pertanto opportuno garantire un domani, e giacché il futuro è nel dialogo, la crescita nel confronto, sempre la libera ricerca non  ha

[1] Werner Heisenberg-Erwin Schrödinger-Max Born-Pierre Auger, Discussione sulla fisica moderna, trad. it di Adolfo Verson, Bollati Boringhieri, Bologna 2002, p. 66-7.

[2] G. Simondon, Forme, information, potentiels. Séance du 27 Février 1960, «Bulletin de la Société française de philosophie», LII, octobre-décembre 1960, n. 4, pp. 10-188. La cit. è tratta dalle pp. 179-80.

[3] A tal proposito, si rimanda alla suggestiva testimonianza di Maurice Mouillaud, dal titolo Fragments pour Gilbert Simondon che verrà prossimamente pubblicata, in traduzione italiana, sulla rivista «Il Protagora», oltre che alla nota dello stesso Autore, dal titolo Simondon G., pubblicata nell’Annuaire 1990 des Anciens Éleves de l’École Normale Supérieure, pp. 3-4

[4] Per ulteriori informazioni di carattere bio-bibliografico si confronti l’Introduction del saggio di Pascal Chabot, La philosophie de Simondon, Vrin, Parigi 2003, pp. 7-11, ai primi paragrafi dell’Introduction del testo di Gilbert Hottois, Simondon et la philosophie de la «culture technique», De Boeck-Wesmael, Bruxelles 1993, pp. 7-13, alla Notice biographique in Aa. Vv., Gilbert Simondon. Une pensée de l’individuation et de la technique, Albin Michel, Paris 1994, pp. 277-8 e all’incipit dell’articolo di D. Van Caneghem, Hommage à Gilbert Simondon, «Bulletin de psychologie», XCII, 17-18, septembre-octobre 1989, n. 392, pp. 816-18. Mi sia consentito, inoltre, rimandare altresì ai miei Cenni biografici e Bibliografia, contenuti nel mio Gilbert Simondon. Per un’assiomatica dei saperi: dall’“ontologia” dell’individuo alla filosofia della tecnologia, Presentazione di Fabio Minazzi, Manni, San Cesario di Lecce 2006, pp. 33-42.

[5] Henri Bergson, L’evoluzione creatrice, a cura di Fabio Polidori, Cortina, Milano 2002, p. 16, corsivo nel testo.

[6] Gilbert Simondon, L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information, Préface de Jacques Garelli, Jérôme Millon, Grenoble 2005, p. 25 (la traduzione è mia).

[7] A tal proposito, cfr. Muriel Combes, Simondon. Individu et collectivité. Pour une philosophie du transindividuel, PUF, Paris 1999.

[8] Leopold Infeld, Albert Einstein. L’uomo e lo scienziato. La teoria della relatività e la sua influenza sul mondo contemporaneo, trad. it di Orazio Nicotra, Einaudi, Torino 1973, pp.19-20.

[9] François Le Terrier-G. Simondon, La psychologie moderne in Aa. Vv., Encyclopédie de la Pléiade. Histoire de la science, volume publié sous la direction de Maurice Daumas, Librairie Gallimard, Bruges 1957, p. 1668.

[10] Gilbert Simondon, Du mode d’existence des objets techniques, Préface de John Hart, Postface de Jacques Garelli, Aubier, Paris 1989, p. 11 (la traduzione è mia).

[11] Idem, p. 9 (la traduzione è mia).

[12] Idem, p. 10 (la traduzione è mia).

[13] Cfr. Gilbert Simondon, Del modo di esistenza degli oggetti tecnici, trad. it. e Nota bibliografica di Saverio Capponi, «millepiani», n.31, ottobre 2006, pp. 7-11. Nella rivista, si pubblica altresì la traduzione italiana, a cura di Saverio Capponi, di un breve articolo di Simondon dal titolo I limiti del progresso umano, pp. 13-21, apparso, per la prima volta, in lingua originale, sulla revue de Metaphysique et de Morale, LXIV, 1959, n. 3, p. 370-6, ripubblicato in «Cahiers philosophiques», XI, mars 1990, n. 42, pp. 7-14 e in Aa. Vv., Gilbert Simondon. Une pensée de l’individuation et de la technique, Albin Michel, Paris 1994, pp. 268-75.

[14] La rivista «Chiasmi International» ha recentemente pubblicato una breve sezione del lungo inedito di Simondon, affiancandolo con le traduzioni inglese ed italiana, rispettivamente a cura di David Gougelet e Simona Pierri. Cfr. «Chiasmi International», Vrin-Mimesis-University of Memphis, Paris-Milano-USA 2005, pp. 45-74. Oltre alle succitate traduzioni, cfr. Gilbert Simondon Pour une notion de situation dialectique, «Il Protagora», XXXIII, gennaio-giugno 2005, n. 5, pp. 101-19, trad. it., introduzione e cura di Giovanni Carrozzini.

[15] A questo proposito, cfr. Esposito Roberto, Bíos. Biopolitica e filosofia, Einaudi, Torino 2004.

[16] In una Nota editoriale presente nella pubblicazione della traduzione italiana del testo di Simondon, si legge: «Ci permettiamo […] di suggerire al lettore che non abbia familiarità con le scienze fisiche e con la teoria dell’informazione di saltare l’“Introduzione”, o di affrontarla solo dopo aver letto il vero e proprio testo de L’individuazione psichica e collettiva»  (G. Simondon, Individuazione psichica e collettiva, trad. it. di Paolo Virno, Prefazione di Muriel Combes, Postfazione di P. Virno, Deriveapprodi, Milano 2001, p. 20 [numerazione mia], corsivo mio). Ritengo sia opportuno notare che i concetti fondamentali della riflessione simondoniana vengono espressi in modo lineare proprio nella suddetta Introduzione che, sebbene richieda un’iniziale sforzo, risulta imprescindibile per la comprensione del sistema simondoniano. La lettura successiva a quella del corpo del testo dei due ultimi capitoli della tesi di Simondon non consentirebbe di comprenderne appieno i contenuti espressi.

[17] Cfr. Carl Gustav Jung, Adattamento, trad. it. di Irene Bernardini ed Ermanno Sagittario, in Id., Opere. Due testi di psicologia analitica, Premessa di Luigi Aurigemma, Bollati Boringhieri, Torino 1993, vol. 7, pp. 309-12.

[18] Cfr. Muriel Combes, Simondon. Individu et collectivité. Pour une philosophie du transindividuel, op. cit.

 

[19] Vincent Bontems, L’amplification selon Gilbert Simondon, di prossima pubblicazione in traduzione italiana, sul numero monografico dedicato a Simondon della rivista «Il Protagora».

[20] A tal proposito, cfr. Wiener Norbert, Introduzione alla cibernetica, trad. it. di Dario Persiani, introduzione di Francesco Ciafaloni, Bollati Boringhieri, Torino 1996.

[21] «L’allagmatica consiste nella teoria delle operazioni […]. L’operazione consiste in questa relazione di un’operazione, o piuttosto in una condizione di questa relazione. La relazione di un’operazione e di una struttura consiste infatti in un atto, che presuppone l’operazione sottoforma di energia e della struttura attraverso la forma» (G. Simondon, Allagmatique, Supplément a L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information, op. cit., pp. 559-66., la cit. è tratta da p. 559, corsivo nel testo, la traduzione è mia).

[22] Gilbert Simondon, Du mode d’existence des objets techniques, op. cit., pp. 9-10 (la traduzione è mia).