MARIO QUARANTA

 

LA SPERIMENTAZIONE PSICOLOGICA DI GIULIO CESARE FERRARI

Nota biografica

L’attività scientifica di Giulio Cesare Ferrari si colloca tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, un periodo cruciale della storia politica e culturale dell’Italia. La generazione post-risorgimentale (il padre di Ferrari ha partecipato ai moti risorgimentali) s’impegna a fondo per far superare al nostro Paese il gap culturale rispetto agli altri Paesi europei, giunti molto prima dell’Italia all’unità politica. Inoltre, sul finire dell’Ottocento inizia l’eclissi del positivismo, fino allora l’orientamento egemone in tutti i campi del sapere, da quello scientifico (biologia, psichiatria, economia, psicologia) a quello filosofico, e Ferrari, che fu legato al gruppo dei pragmatisti italiani, in particolare a Calderoni e Vailati, partecipò alla revisione del positivismo in psichiatria e psicologia attraverso la conoscenza dei lavori di Binet e di James.

G.C. Ferrari nacque a Reggio Emilia il 29 ottobre 1867; si iscrisse nel 1887 alla Facoltà di medicina dell’università di Modena; dopo la laurea conseguita all’università di Bologna nel 1892 entra come assistente nel celebre Istituto psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia. Questa istituzione, le cui radici risalgono al medioevo, fu trasformato nel 1821 in un “Ospizio generale per la cura e la custodia degli ammalati mentali per tutti gli Stati Estensi” diretto da Antonio Galloni, e fin da allora fu considerato all’avanguardia. Nel 1875 il direttore Carlo Livi fondò la «Rivista sperimentale di freniatria e di medicina legale», che aggiornò la cultura psichiatrica italiana pubblicando le ricerche più valide di studiosi italiani e stranieri. Dopo la scomparsa di Livi nel 1877, l’Istituto fu diretto dal Augusto Tamburini (1848-1919), alla cui scuola si sono formate alcune generazioni di psicologi, psichiatri e neuropsichiatri come G. Guicciardi, G.B. Pellizzi, C. Besta, A. Donaggio; Tamburini ha diretto la rivista fino 1919, anno della morte, e per trent’anni la clinica psichiatrica di Roma. Nel 1893 Ferrari è nominato redattore capo della «Rivista Sperimentale di Freniatria» e vi rimane fino al 1906. Nel 1896 ottiene una borsa di studio di un anno per recarsi a lavorare nel laboratorio di psicologia di Alfred Binet a Parigi, ove si occupa anche degli studi neurologici di Dejerine, Rajmond e Richet. Durante questo soggiorno parigino iniziò un lavoro sui deliri, un argomento su cui aveva già pubblicato alcuni lavori: La degenerazione nello stile dei paranoici erotici [1893]; Ossessioni ed allucinazioni riflesse [1897]. Il testo doveva essere consegnato all’editore parigino entro il 1902, e in quell’anno comunicò alla moglie di avere già scritto 116 pagine, ma poi, entrato in Italia, si dedicò ad altri lavori in una direzione scientifica diversa, così Ferrari declinò l’incarico. Questo ampio inedito si trova nel Fondo Ferrari dell’università Milano-Bicocca.

L’esperienza parigina, breve ma intensa, sarà decisiva nella sua formazione scientifica. Tornato in Italia, Ferrari fonda al San Lazzaro il Laboratorio di psicologia secondo il modello di Binet; lo dirigerà fino al 1902 e pubblicherà un ampio resoconto sull’attività dell’Istituto: Il Laboratorio di psicologia di Reggio Emilia [1968]. Esso, afferma Ferrari, «è una gloria italiana, meglio ancora è nella storia di questo istituto psichiatrico il primo accenno all’applicazione metodica dei sistemi della Psicofisica agli ammalati di mente» [Ferrari 1968, 222]. Inoltre, «dedicandolo esclusivamente a ricerche di Psicologia sperimentale, ha l’alto ed ambito onore di essere il primo vero e proprio che esista in Italia» [Ferrari 1968, 220]. E ciò è decisivo, dal momento, afferma sempre Ferrari, che «il fiorire della Psicologia sperimentale è intimamente collegato al moltiplicarsi dei relativi Laboratori» [Ferrari 1968, 220]. Questo laboratorio si differenzia da quelli precedenti sia per la ricchezza degli strumenti scientifici di cui è dotato e che Ferrari descrive puntualmente, sia per i metodi usati in relazione all’obiettivo fondamentale di ricercare e verificare le leggi generali dei fenomeni psichici, «finalità suprema d’ogni opera veramente scientifica» [Ferrari 1968, 220]. Gli esperimenti più frequenti sono stati inizialmente di psicometria e psicofisica, ma poi sono stati estesi a quelli sulle emozioni, la volontà, l’attenzione, ecc. Inoltre, Ferrari assegna un ruolo fondamentale ai “mental tests” di Binet (che egli definisce “reattivi mentali”), nella persuasione di poter così dotare la psicologia sperimentale – «una scienza nata ieri e che da ieri soltanto ha degli scienziati e dei Laboratori al suo servizio» [Ferrari 1968, 231], di uno statuto autenticamente scientifico. Per fare ciò occorreva andare oltre il modello di psicologia filosofica di Roberto Ardigò (Psicologia come scienza positiva, 1870), e oltre quello di Giuseppe Sergi (Principi di psicologia, 1873), caratterizzato da un determinismo riduzionistico, che fa della fisiologia l’unico linguaggio scientifico estensibile alla psicologia. Per Ferrari, invece, occorre costruire una psicologia autonoma nei metodi e negli scopi, capace di collegarsi con la psichiatria, una scienza che presenta fenomeni complessi non riducibili al modello meccanicistico.

La risposta a questa esigenza, come vedremo, Ferrari la trova nei Principi di psicologia di William James di cui nel 1898 viene casualmente a conoscenza. In breve: Ferrari accoglie da Binet l’idea di una “psicologia individuale” come parte integrante della psicologia sperimentale e come strumento essenziale per l’analisi dei malati di mente e da James l’immagine di una psicologia capace di spiegare i fenomeni psichici più complessi andando oltre il riduzionismo positivistico e oltre la prospettiva nativista, secondo cui i processi psicologici sarebbero uno sviluppo di caratteri innati. Queste due acquisizioni scientifiche gli consentono di delineare un modello di psicologia e di psichiatria più adeguato alla spiegazione della psiche umana, giungendo fino alla comprensione delle diverse patologie. È questo il programma psicologico-psichiatrico che Ferrari fa proprio e che orienterà la sua attività scientifica.

Al X Congresso della Società freniatrica italiana del 1899 legge la relazione Dei metodi pratici per le ricerche psicologiche individuali da adottarsi nei Manicomi e nelle Cliniche [1900], per la quale ottiene il premio Bonacossa della R. Accademia di Medicina di Torino. Questo studio ha una particolare importanza perchè vi è delineata con efficacia, attraverso precisi resoconti di esami clinici, la fecondità del metodo ispirato al pensiero di Binet. Nel 1901 ottiene la libera docenza in psichiatria presso l’università di Modena e assieme ad altri colleghi concorre alla fondazione della “Società italiana di psicologia”. Nel 1901 viene pubblicata la sua traduzione dell’opera di William James Principii di psicologia (Società editrice libraria, Milano); nel 1902 è nominato medico primario e vice direttore del Manicomio San Clemente di Venezia, e l’anno successivo è chiamato a dirigere il primo esperimento di rieducazione dei giovani frenastenici nell’Istituto medico-pedagogico emiliano, sorto a Bertalia, un sobborgo di Bologna, ove rimase fino al 1907, lo riordinò secondo metodi innovativi enunciati nella relazione L’organizzazione ed il riordinamento dell’Istituto pedagogico emiliano di Bertalia (Bologna) [1904]. Nel 1904 pubblica, in collaborazione con Mario Calderoni, la traduzione dell’opera di W. James, Le varie forme della coscienza religiosa, con prefazione di R. Ardigò (Bocca, Milano), e la traduzione dell’opera di W. Seiffer, Atlante e manuale di diagnostica e terapia delle malattie nervose (Società editrice libraria, Milano). Nel 1905 fonda la «Rivista di psicologia applicata alla pedagogia e alla psicopatologia», alla quale si sono abbonati quasi tutte le Scuole normali e i Convitti nazionali. Essa diventa presto la più autorevole rivista di psicologia in Italia, dove Ferrari pubblicherà la maggior parte dei suoi scritti; nel 1910 diventa l’organo della “Società italiana di psicologia”.

Nel 1906 Ferrari pubblica Tecnica sperimentale di psicologia. Dell’attenzione; egli ritiene che la funzione dell’attenzione sia centrale nell’attività cognitiva, in ciò concordando con James. «L’esame sperimentale dell’attenzione, afferma, ha il massimo valore, in quanto l’attenzione volontaria o conativa, specialmente, ha un’importanza eccezionale nell’economia della vita umana, poiché serve ad assicurare un adattamento perfetto dell’organismo all’ambiente in cui si trova» [Ferrari 1906, 9]. (Precedentemente, insieme a Guicciardi, aveva compiuto degli esperimenti sull’attenzione, di cui fornisce una sistemazione in questa breve opera). Nel 1907 ottiene la libera docenza in psicologia ed è nominato direttore del Manicomio provinciale di Bologna in Imola nel 1907, che riorganizza con metodi nuovi istituendo una sezione speciale per tutti i deficienti della provincia di Bologna, e una per i deficienti del carattere (anormali e criminali). Un primo bilancio di questa esperienza, che durò fino al 1914, si trova nella Relazione annuale sull’andamento tecnico sanitario del Manicomio provinciale di Bologna in Imola [1909]. Nel 1912 gli viene conferito l’incarico di psicologia sperimentale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’ università di Bologna che terrà fino alla morte.

Nel 1910 organizza una “Colonia libera per deficienti gravi e giovani criminali” che Ferrari fu chiamato a illustrare in congressi e mediante conferenze a Roma, Milano, Torino e Parigi. Fu la prima istituzione del suo genere in Italia; questa esperienza è stata analizzata in vari articoli dalla prof. Gabriella Francia, che diresse la colonia nei primi due anni e da Ferrari nella «Rivista di psicologia». Per questa sua attività verso la “criminalità giovanile” Ferrari fu poi chiamato nel 1921 dal ministro Lodovico Mortara a far parte della Commissione incaricata di elaborare un nuovo Codice penale presieduta da Enrico Ferri. All’inizio degli anni Venti Ferrari aveva potuto istituire un reparto speciale separato per minorenni nel carcere di S. Giovanni in Monte a Bologna. Nel 1922 ha istituito a Bologna il Patronato di assistenza e la Colonia libera di S. Luca per i ricoverati e gli ex degenti psichiatrici.

Nel 1924 è nominato direttore dell’Ospedale psichiatrico provinciale F. Roncati di Bologna, e nel 1925 è tra i fondatori a Bologna della “Lega italiana per l’igiene e la profilassi mentale”, che egli presiedette fino al 1928; fu istituita secondo il modello di quelle sorte in America per opera di Clifford Wittingham Beers, ex degente psichiatrico la cui opera autobiografica e attività fece conoscere in Italia Essa era basata sul principio della profilassi, ossia sulla prevenzione prima ancora della cura; un campo, questo, in cui Ferrari si impegnò a lungo. All’inizio degli anni Venti scrive il Manuale pratico di educazione della volontà, con cui partecipò al Concorso Brioschi per un Manuale di educazione della volontà bandito nel 1924 e chiuso solo nel 1927. La Commissione non scelse un vincitore e il testo fu pubblicato in spagnolo nel 1927 [Mucciarelli 1984]: è una brillante sintesi del pensiero psico-terapeutico di Ferrari. A questi dati occorre aggiungere l’assidua partecipazione di Ferrari a congressi nazionali e internazionali di psicologia e psichiatria, spesso con relazioni e di cui ha pubblicato accurati resoconti. Egli ha svolto anche un’intensa attività recensoria; utilizzando la conoscenza di alcune lingue (l’inglese, il francese e il tedesco), ha fornito rassegne precise sulla letteratura psicologica e psichiatrica europea, in termini oggettivi, esprimendo sempre una sobria valutazione personale.

 

L’incontro con Alfred Binet

 

Due eventi hanno avuto una rilievo determinante nella vita scientifica di Ferrari, l’incontro con il pensiero di Binet e con quello di James, che gli hanno consentito di staccarsi precocemente dal paradigma positivistico del tempo. Inizialmente, in psichiatria e in psicologia accoglie il metodo sperimentale, che gli aveva permesso di andare oltre la psichiatria di ispirazione “spiritualistica”, la quale aveva definito “morali” le ragioni della pazzia e pertanto aveva proposto una “terapia morale”; egli è del pari critico sia del meccanicismo biologico sia del vitalismo. Nei contributi scientifici di Ferrari, dopo l’esperienza francese e dopo la stabile acquisizione dei contributi psicologici di James, il campo d’indagine si allarga e si concentra soprattutto su problemi in cui la presenza e l’utilizzo della psicologia è determinante; la specificità del suo contributo, successivamente a questi “incontri”, risiede sia nell’avere considerato tra loro collegate le diverse dimensioni della psichiatria da quella clinico-semeiologica a quella medico-psicologica e organizzativa, sia di aver riconosciuto l’autonomia della psicologia come scienza “naturale”. In altri termini, egli ritiene che la psichiatria debba utilizzare diversi strumenti conoscitivi per comprendere, in tutta la loro complessità di dimensioni, il malato, e che la psicologia non sia più considerata una costola della filosofia.

L’incontro con Binet a Parigi nel 1894, e la permanenza nel suo laboratorio parigino gli ha consentito di studiare i “mental tests” per misurare non solo capacità limitate, specializzate, come si faceva nel laboratorio di psico-fisiologia di Wundt a Lipsia e in altri laboratori analoghi, ma anche le funzioni mentali più complesse, allo scopo di determinare le differenze individuali nelle capacità mnemoniche, nell’attenzione, nella percezione dello spazio, nelle percezioni motorie e così via. Nella sua Autobiografia esprime in questi termini l’incontro parigino con Binet: «La pubblicazione del primo volume dell’«Année psychologique» di Binet fu il grande avvenimento della mia vita. Scorrendo anzitutto l’indice delle analisi bibliografiche e trovando a un posto che evidentemente era il loro diversi articoli che mai da solo avrei saputo classificare, ebbi realmente la sensazione di un sollievo fisico. La lettura, poi, della magnifica prefazione del Binet mise ordine alle mie cognizioni, diede luce alla mia mente fino a quel momento così confusa» [Mucciarelli 1984, 248]. È stato un indubbio merito di Ferrari avere compreso subito la novità metodologica rappresentata dal test di Binet-Simon rispetto a quelli tradizionali, e individuare la possibilità di usarlo in psichiatria.

Ferrari è stato il primo, in Italia, a utilizzare il test di Binet nell’analisi della psiche dei malati mentali ottenendo risultati di notevole rilievo; egli ne ha delineato le caratteristiche, l’uso e l’efficacia euristica in alcuni scritti [Ferrari 1896, 1900], nella persuasione che tramite tale test è possibile conoscere meglio non solo le modalità delle manifestazioni psicotiche o di anormalità intellettive, ma anche la personalità “normale”. E ciò perché «la pazzia è solo una deviazione più o meno profonda, più o meno permanente della personalità, con i caratteri mai completamente distrutti, della personalità primitiva» [Ferrari 1901]: un’idea che si riscontra nella psichiatria del tempo e che è alla base, ad esempio, di alcuni progetti di educazione nuova come quello di Maria Montessori.

Ferrari ha compiuto un’opera di propaganda per l’uso del test di Binet in psichiatria attraverso articoli in riviste italiane e straniere, in interventi nei congressi scientifici italiani e internazionali, ma le sue idee non hanno trovato il consenso che egli si attendeva; l’accettazione della sua posizione richiedeva l’accoglimento di una nuova metodologia ed epistemologia in psichiatria, e occorre riconoscere che la psichiatria italiana non era preparata, allora, ad accettare la proposta di Ferrari. Una proposta che forniva un’immagine della malattia mentale e della sua cura diversa da quella data dal modello positivistico, orientato a cercare la causa generale delle manifestazioni psicopatologiche, mentre secondo Ferrari si tratta soprattutto di tenere conto delle caratteristiche individuali del malato, di una molteplicità di sintomi e conseguentemente di predisporre una varietà di interventi terapeutici.

 

L’incontro con la psicologia di William James

 

L’altro “incontro” importante nella vita scientifica di Ferrari è stato con l’opera di William James Principi di psicologia; un incontro casuale come egli stesso presenta nella sua Autobiografia: «Nel 1898, a Parigi, durante un ricevimento a casa dell’illustre filosofo Mariller, cui erano presenti Janet e altri, ebbi l’occasione, per puro caso, di scorrere qualche pagina dei Principles of Psychology di William James. Fui così colpito dalla vivacità di quel libro che andai a comperarlo subito. La personalità dell’autore, così profonda e così brillante allo stesso tempo mi attirò fortemente. Fui molto meravigliato che un libro di tale importanza scientifica, così bello dal punto di vista letterario e così vivo, non fosse maggiormente conosciuto in Europa. Mi prese il desiderio di tradurlo in italiano; pensavo che forse un’opera così bella avrebbe potuto fare il miracolo di risvegliare da noi l’interesse per la psicologia scientifica. Inoltre, era più necessario, secondo me, orientare piuttosto che alimentare l’esuberante giovinezza dei Prezzolini, Papini, Galletti, Vailati, Calderoni, ecc., della generazione di prima della guerra, che non trovava altro sfogo che nella critica letteraria o filosofica» [Ferrari 1984, 252]. L’opera è stata tradotta da Ferrari con la collaborazione di Mario Calderoni, e pubblicata prima in dispense e poi in volume nel 1901.

Ferrari individua nei Principi di psicologia alcuni aspetti fondamentali, tali da considerare questa opera una pietra miliare della psicologia. Egli è d’accordo che la psicologia è una scienza con una sua autonomia metodologica ed epistemologia. Il modello di psicologia di James costituisce, a suo giudizio, una valida alternativa al modello riduzionista degli psicofisiologi di stampo positivistico allora dominante in Italia (su ciò è d’accordo anche Vailati). «Tutti i progressi di questa scienza, afferma Ferrari, dimostrano che i processi della coscienza sono assolutamente, essenzialmente diversi dai processi fisici: la sensazione è un fatto di natura affatto particolare da non potersi per nulla confrontare con l’eccitamento che la produce» [Ferrari 1899, 493]. Inoltre, la psicologia è una scienza in fieri, e pertanto l’opera non si presenta, come quelle tradizionali positivistiche, nella forma di un trattato o di un manuale capace di fornire una conoscenza esaustiva dei “fenomeni psichici”, ma è aperta a integrazioni, rettifiche, approfondimenti. Per quanto riguarda l’idea-guida della psicologia jamesiana, quella di coscienza, è assunta in un significato opposto a quello attribuitole dal positivismo. È la concezione della coscienza come un processo, una “corrente” in movimento, un flusso continuo; pertanto ogni tentativo di frammentarla, suddividerla in stadi separati risulta fuorviante. Tutte le funzioni della coscienza sono strettamente connesse tra loro, pur nella distinzione dei ruoli che svolgono nell’ambito della sua attività. La proprietà fondamentale della “corrente della coscienza” è la complessità; il che significa che è costitutivamente impossibile darne un’immagine definitiva. Ebbene, Ferrari ritiene che questo modello di psicologia possa essere fecondamente utilizzato anche nel campo della psichiatria, nel senso che può aiutare a mutare profondamente le tradizionali teorie fornendo nuove categorie esplicative.

Infine, Ferrari integra il testo jamesiano con un ricco apparato bibliografico alla fine di ogni capitolo e note, in cui segnala le ricerche e i lavori scientifici (italiani e stranieri) pubblicati nel corso dell’ultimo decennio. Inoltre, scrive appendici ad alcuni capitoli fondamentali in cui sono discussi gli aspetti patologici, ad esempio, dell’attenzione, dell’associazione, della memoria, dell’istinto, della personalità, ecc. (un centinaio di pagine) e ciò per far vedere quale uso poteva essere fatto della psicologia per comprendere le patologie delle diverse funzioni psichiche.

 

Ricerche sperimentali

 

Nella fase pre-Binet le ricerche sperimentali di Ferrari sono condotte secondo una prospettiva metodologica articolata in alcuni momenti fondamentali; egli offre un’informazione precisa delle tesi sostenute da altri studiosi sullo stesso argomento da lui scelto, ne discute ipotesi e risultati rilevando la congruità tra premesse e conclusioni, o confrontando i risultati con le sue ricerche. Infine, valuta se è necessario rettificare o formulare una teoria più adeguata (è il caso più frequente. Nella prima ricerca, Sull’uso dell’acido lattico per lo studio dei vasi capillari nel cervello [Ferrari 1891], sulla base di una rigorosa messa a punto di esperimenti, rettifica la tesi sostenuta da P. Kronthal; mentre nella seconda ricerca su La degenerazione dello stile dei paranoici [Ferrari 1896] confronta i dati raccolti sugli scritti di cinque pazienti con quelli cui sono pervenuti alcuni psicologi e letterati, pervenendo poi a una conclusione innovativa. Egli sostiene che le distorsioni paranoiche sono dovute a forme psichiche degenerative, attribuendo però una particolare importanza allo “stile” di tali scritti. Più interessante un altro lavoro, La psicosi polineuritica. Rassegna critica [Ferrari 1895], ove Ferrari giunge a correggere una teoria fino allora largamente accolta dagli studiosi. Egli avverte che per psicosi polineuritica s’intende un complesso di disturbi psichici caratterizzati prevalentemente da un’amnesia che si può trovare, nei casi di neurite multipla da alcolismo e di alcolismo senza fenomeni nevritici, dopo una psicosi acuta. Tale forma psicopatica è stata considerata da alcuni autori come una malattia a sè.

Ferrari rileva che il quadro sintomatico della malattia è incerto perchè ogni caso ha delle caratteristiche proprie; l’unico elemento che sembra comune nei malati è l’amnesia. Nei malati per insufficienza di attenzione, manca la percezione personale (appercezione) delle immagini e pertanto di riscontra una dissociazione fra i processi percettivi e quelli appercettivi. In questo modo si spiega la forma speciale del delirio di questi malati, che è basato su combinazioni associative e non appercettive, la sua relativa durata e il modo di riviviscenza dei ricordi quando, dopo la guarigione, i malati cominciano a mutare in dinamiche le antiche associazioni statiche. In conclusione, secondo Ferrari l’amnesia non è una malattia della memoria, come si riteneva, ma dell’attenzione, conseguentemente questa manifestazione patogena non può essere considerata una nuova malattia.

Un’altra ricerca sperimentale di un certo interesse è sulle Auto-infezioni negli alienati [1898], un problema finora affrontato da alcuni alienisti come Briand, Rezzonico, Buckholz, Bianchi e Piccinino, Rasori, Potts, Martinotti, Cabitto, variamente interpretato sulla base di risultati non soddisfacenti, a giudizio dei due studiosi. Si tratta di individuare con esattezza il ruolo che svolgono i microorganismi patogeni riscontrati nel delirio acuto. I due studiosi forniscono un resoconto di ricerche batteriologiche condotte su diciotto malati affetti da diverse forme psicopatiche: epilessia, mania grave, lipemania ansiosa ecc. L’esame è stato compiuto metodicamente ogni giorno per tutto il tempo in cui è durata una grave confusione mentale e sempre nelle stesse condizioni. Il risultato delle ricerche batteriologiche è stato positivo in sette soggetti, cinque pazienti sono guariti e due sono morti. Negli altri undici casi in cui l’esame batteriologico del sangue ha avuto un esito negativo si è avuto un andamento regolare con miglioramenti o guarigioni. Iniettando i germi in conigli si è trovato che i germi dei due casi letali presentavano un notevole grado di virulenza, mentre negli altri cinque casi la virulenza era molto attenuata.

La conclusione cui pervengono i due studiosi è che i germi patogeni non hanno un valore etiologico per nessuna delle forme psicopatiche in cui sono stati riscontrati, ma rappresentano una complicazione della forma stessa. Anche in questo caso i risultati raggiunti dagli alienisti precedenti sono stati, a giudizio dei due studiosi, «troppo spesso contraddittori, sia pei metodi di ricerca usati, sia pel modo di interpretare i risultati ottenuti» [Ceni-Ferrari, 1898, 3]. Il rilievo più importante riguarda l’uso inadeguato che questi alienisti hanno fatto della batteriologia nell’analisi delle malattie mentali. Oggi, sottolineano i due studiosi, «la batteriologia ha portato a nuove concezioni della diagnostica delle malattie in generale, ed ha fatto una vera e profonda rivoluzione nella terapia di esse» [[Ceni-Ferrari, 1898, 3], mentre gli alienisti che se ne sono occupati hanno sottovalutato l’efficacia di questo nuovo strumento conoscitivo.

Un lavoro sperimentale “pioneristico” è quello su Ricerche ergografiche sulla donna [1891]; Ferrari si è servito dell’ergografo di Angelo Mosso, l’inventore di tale strumento, e di quello più recente di Binet e Vascide per esaminare l’energia muscolare delle donne. Come sempre, fornisce un dettagliato resoconto delle esperienze, rilevando tutti i dati di ogni soggetto insieme a tutti i tracciati eseguito dalle donne con la mano destra e con quella sinistra. Egli rileva che «è inutile che aggiunga che i miei risultati non sono consoni con quelli di Hoch e Kräpelin» [Ferrari 1891, 72], i quali hanno utilizzato un ergografo modificato, e hanno sostenuto che «il numero dei sollevamenti dipende dallo stato del sistema nervoso, il lavoro chilogrammetrico, invece, dal sistema muscolare» [Ferrari 1891, 72]. La conclusione generale più importante cui perviene Ferrari è che c’è «una profonda differenza nel modo di comportarsi dell’energia muscolare nell’uomo e nella donna», nel senso che con l’ergografo si stancano in modo diverso dagli uomini [Ferrari 1891, 77].

Ferrari compie poi alcune considerazioni di notevole interesse sulla donna. Egli rileva che è ancora diffusa l’idea della donna come «un essere inferiore» [Ferrari 1891, 77]; recenti studi, fra cui quelli di Lombroso, Morselli, Mantegazza, hanno però messo in discussione o confutato tale idea. Le sue ricerche hanno stabilito che «le donne non sono inferiori agli uomini, quanto alla forza che possono spiegare con l’ergografo; sono poi evidentemente superiori a quelli,  per la forza che dimostrano di avere nella mano sinistra, confrontandola colla destra» [Ferrari 1891, 79]. Essa può risiedere nei centri nervosi e non nel tronco nervoso, né nel muscolo o nella piastrina motrice. Quanto al problema del destrismo e del mancinismo non ancora risolto in modo soddisfacente, egli parte da un dato acquisito: «Come sia sorto nell’uomo il destrismo è ignoto: certo esso è ereditario, come è nettamente ereditario il mancinismo» [Ferrari 1891, 82]. Conclude che siamo di fronte solo a ipotesi non confermate, e ne formula una nuova: il mancinismo delle donne ; esso è legato alle pratiche sociali che hanno caratterizzato nel secoli la loro vita individuale e sociale che hanno richiesto prevalentemente l’uso della mano sinistra.

 

Oltre il positivismo

 

Uno dei problemi periodicamente affrontati dagli studiosi che si sono occupati di Ferrari, è di determinare la sua posizione all’interno della cultura dell’epoca dominata dal positivismo. A nostro parere, l’attività di Ferrari si inserisce, nella prima fase della sua attività svolta nel laboratorio di psicologia di Reggio Emilia, nell’ambito di un positivismo critico che difende la razionalità scientifica riconoscendo, però, il peso e il ruolo della vita dei sentimenti e delle emozioni nella vita dell’uomo. In Ferrari è vivo l’interesse per le idee generali, per la teoria come momento ineliminabile della pratica psichiatrica; a tale proposito, il suo atteggiamento di fondo è definito in alcuni criteri metodologici espressi chiaramente nel corso di alcune recensioni di opere di psichiatri e psicologi. Per Ferrari la scienza consiste, essenzialmente, in un equilibrato rapporto tra esperienza e ragione, tra fatti e teorie; quando vengono meno i primi, si cade in astrattezze prive di senso; quando è assente la teoria si è al di qua di una proposta autenticamente scientifica. Se Ferrari ricorda spesso, secondo un modulo tradizionale, «il valore che hanno sempre i fatti, per sè stessi» [Ferrari 1984, 13], sottolinea pure che essi debbono essere adeguatamente collegati fra loro, altrimenti non sono sufficienti a delineare una teoria, ossia a spiegare in termini scientifici i fenomeni per i quali sono stati impiegati. Così, di fronte alla ricerca di Bechterew sulle vie di conduzione nel cervello e nel midollo spinale, sottolinea che si tratta di un’opera «tutta di fatti minuti, forse qualche volta accettati con una critica non abbastanza rigorosa» [Ferrari 1984, 26]. Anche il Compendio di neuropatologia di Möbius è sottoposto a una analoga critica: «Qui Möbius non espone vedute nuove, fors’anche dà talvolta come provati e come certi alcuni fatti che, o non sono ancora stati posti in debita luce, o l’interpretazione dei quali è ancora assai discussa, ma riesce sempre a dare un chiaro concetto generale dello svilupparsi e dell’aggrupparsi dei vari sintomi» [Ferrari 1984, 31].

Anche nell’altro versante, quello del rilievo accordato alla teoria, i riferimenti sono frequenti; ne riportiamo due: il primo si riferisce al Trattato delle malattie nervose di Oppenheim, che si conclude con questa affermazione di principio: «Noi vorremmo vedere nelle mani di tutti i nostri lettori questo volume, veramente prezioso: sebbene vi si trovino tutti i fatti, ma non molte idee generali; mentre sono queste le più utili e nella scienza, e nella pratica» [Ferrari 1984, 141]. Anche a proposito del Trattato delle malattie nervose di Schultze, Ferrari annota criticamente: «Anche in questo libro, poi, vi è la quasi assoluta mancanza delle idee generali, che sono quelle che per noi più hanno valore» [Ferrari 1984, 142].

Come abbiamo accennato, si può conclusivamente affermare, che il pensiero di Binet ha condotto Ferrari al di fuori del paradigma psichiatrico positivista, mentre quello di James gli ha fatto superare il paradigma della psicologia positivistica. In un testo in cui Ferrari esprime il punto d’approdo del suo pensiero sui rapporti tra psicologia e psicopatologia, ove è evidente la lezione di Binet, afferma: «Non possiamo (meglio, non dovremmo) trattare un malato come un “paranoico”, come un “melanconico”, come, cioè un prototipo o un paradigma di una data “malattia”, ma la nostra azione deve dirigersi peculiarmente a quel tratto di homo rationalis che traluce, deformato dalla paranoia o dalla malinconia: allo stesso modo noi dovremmo cercare di vedere quello che egli è realmente quando è stato fatto e ridotto dall’ambiente, dalle circostanze, ecc., senza ricorrere (come invece ordinariamente facciamo) a quel canone di homo sapiens che solo la convenzione ha creato e che la realtà non ci presenta quasi mai e che noi ammettiamo per inerzia pur sapendo bene che non può esistere» [Ferrari 1924, 8].

Nei Principi di psicologia Ferrari trova la conferma che è possibile una psicologia non fondata sull’associazionismo ma su un senso nuovo «dell’unità e della spontaneità della vita mentale, il senso della vita mentale come vita vissuta anziché scissa in tante idee richiamantisi l’un l’altra» [Rossi, 1956, 40]. Con James, però, quelle che erano in lui posizioni abbozzate, individuate ma non ancora rigorosamente sistemate, trovano ora una persuasiva e completa formulazione. A mano a mano che gli interessi strettamente psicologici di James vengono meno per fare posto a quelli filosofici, diminuisce l’interesse diretto di Ferrari verso il filosofo americano, anche se permangono altri, e pure importanti motivi di amicizia [Quaranta 2005]. In conclusione, «quello che del pragmatismo Ferrari poteva accettare, era già contenuto nei Principi di psicologia: essi valevano per G.C. Ferrari proprio in quanto servivano ai compiti prossimi e lontani della psicologia come scienza applicata alle scienze formative dell’uomo ed all’opera correttiva dell’equilibrio umano» [Rossi 1956, 40].

Nell’intervento al V congresso internazionale di psicologia del 1905, in cui Ferrari incontrò James, afferma esplicitamente che «la psicologia non fa più parte della filosofia, e se ancora tentenna, se ancora è oppressa dallo spirito angusto di alcuni che non ne sanno misurare la complessità, e che vedono troppo chiaro o nulla vedono là dove si affollano i maggiori problemi, pure va ogni giorno più delimitando la propria via per divenire veramente una “scienza naturale”, per divenire “positiva”, “scientifica”» [Ferrari 1985, 148]. E una difesa della psicologia sperimentale si trova nelle due recensioni all’opera storico-critica di G. Villa, La psicologia contemporanea [Ferrari 1985].

Ora, di fronte a ricerche scientifiche integrate da proposte interpretative di carattere generale, respinge due orientamenti del positivismo ‘biologico’: il determinismo fisiologico e il vitalismo. A titolo esemplificativo scegliamo le recensioni a due opere: l’Abbozzo di una spiegazione fisiologica dei fenomeni psichici di Exner, e Cervello e anima di Flechsig [Ferrari, 1984, 63-54]. Nel primo lavoro, l’autore afferma: «Intendo per fenomeni psichici il fatto di ricondurli ad altri processi fisiologici del sistema nervoso centrale» [Ferrari, 1984, 40]. Secondo Ferrari, «il cercare di spiegare tutti i fenomeni psichici in base a fatti fisiologico-anatomici, non è infatti solo più difficile del cercare di spiegarne alcuno o almeno un dato gruppo di essi, ma è assolutamente tutt’altra cosa, perché non basta più, come per quest’ultimo fine, aggruppare delle ipotesi o mettere avanti delle proposizioni, per quanto vere in sé e provate da qualche fatto, ma senza curarsi che siano consonanti con altri fenomeni psichici o fisici lontani e a tutta prima differentissimi, ma ogni più piccola cosa deve colle altre tutte connettersi e tutte debbono vicendevolmente illustrarsi»  [Ferrari, 1984, 41].

Nel suo lavoro, Flechsig sostiene che «l’anima è semplicemente una funzione del corpo ed i fenomeni psichici sono solamente manifestazioni vitali» [Ferrari, 1984, 64]. La conseguenza di questa tesi nel campo della psichiatria è che «le malattie mentali sono solo malattie dei centri d’associazione» [Ferrari, 1984, 64]. Ferrari, oltre a un avvertimento metodologico sul ruolo fuorviante che assumono le analogie quando si sostituiscono alle spiegazioni scientifiche, come già aveva indicato Mach, rileva che il tentativo di determinare le funzioni del cervello attraverso un’esatta localizzazione dei centri nervosi del cervello non è nuovo nella storia della psichiatria. Basti il riferimento «all’opera di Gall sulle funzioni del cervello: però, mentre quest’ultima segnava veramente un grande progresso sulle teorie allora dominanti del Sommering e del Varolio, perché pel primo Gall insegnava a cercare non in un ricettacolo qualsivoglia, ma in tutto l’ambito della superficie cerebrale, il substratum più importante dell’attività psichica, l’opuscolo presente non ha affatto questa importanza; ha al più soltanto la pretesa di emularlo» [Ferrari, 1984, 63]. Ferrari esprime un secondo e forse più importante rilievo metodologico quando afferma: «Abbiamo sempre preferito (quando erano giustificate) le ipotesi anche ardite di un ingegno brillante, alle sterili critiche di un altro, impotente a fare; ma non concediamo a nessuno di far passare delle semplici ipotesi per dei fatti provati!» [Ferrari, 1984, 63].

Per quanto riguarda l’atteggiamento verso il vitalismo, citiamo la recensione di due volumi di Le Dantec, la Teoria nuova della vita e Il determinismo biologico e la personalità. Ferrari sottolinea che «l’autore mette avanti delle condizioni ideali, delle pure ipotesi: ma se le ipotesi hanno, in tesi generale, un certo valore, è perché in fin dei conti val meglio un’ipotesi che nulla, poi perché possono sempre servire a scoprire terre incognite; tuttavia non sapremmo preferirle a quelle pure tautologie, di cui talvolta prendono il posto, e di cui spesso non valgono affatto di più» [Ferrari 1984, 105]. Egli prosegue con efficaci esemplificazioni, facendo proprio il metodo logico-linguistico vailatiano – le “questioni di parole” – consistente nel denunciare l’abuso che si fa di certi termini. In questo caso, Ferrari mette in evidenza che lo studioso usa due distinte parole — attività e vita —per indicare due distinte funzioni mentre si tratta di sinonimi.

In conclusione, si può affermare che Ferrari da un iniziale positivismo critico ne sia uscito al contatto diretto con Binet e James, collocandosi in quell’“area pragmatistica” che ha avuto il suo epistemologo guida nel fraterno amico Giovanni Vailati. Le numerose recensioni all’«Année psychologique»  di Binet e agli scritti di James indicano, infatti, una delle costanti della ricerca di Ferrari, e come l’accoglimento del paradigma epistemologico pragmatistico gli abbia permesso di accostarsi e valutare in termini critici le varie opere di psichiatri e psicologi, individuando ciò che c’è di scientificamente valido.

 

La svolta  nel primo Novecento

 

Nei primi anni del Novecento Ferrari compie due scelte fondamentali, che segnano una svolta nella sua attività scientifica e nel suo pensiero. Egli rettifica la sua strategia culturale scegliendo due campi di intervento: da un lato egli si dedica pressoché esclusivamente a problemi di psicologia applicata, dall’altro fonda la «Rivista di psicologia applicata alla pedagogia e alla psicopatologia», con cui conduce la sua battaglia per il rinnovamento della cultura psicologica italiana.

Dopo la sua teorizzazione dei test di Binet compiuta nei due saggi del 1896 e del 1899 precedentemente citati, e dopo l’adesione al pensiero psicologico di James, Ferrari continua, per un breve periodo, le sue ricerche sperimentali; è lo stesso Ferrari a indicarci, nel saggio sul laboratorio di Reggio Emilia, come esempi di analisi di fenomeni complessi due studi compiuti in collaborazione con Guicciardi: uno sul calcolatore mentale di Ugo Zaniboni, ossia sulla psicologia delle memorie parziali, e un altro sul lettore del pensiero John Dalton, ossia sul problema psicologico delle piccole percezioni. Inoltre, fra il 1897 e il 1901 pubblica una serie di scritti di carattere psichiatrico che costituiscono uno dei contributi fondamentali da lui dato su un argomento cruciale.

Nel saggio Influenza degli stati emotivi sulla genesi e sullo sviluppo dei deliri e di alcune psicosi [Ferrari 1901], che a mio parere rappresenta sotto il profilo metodologico un modello di analisi, Ferrari sostiene che gli stati affettivi hanno una influenza determinante sulla genesi e lo sviluppo dei deliri e di alcune psicosi, insieme ai meccanismi psicologici e psicodinamici; gli giunge a questa conclusione usando la teoria delle emozioni di James. Inoltre, sostiene che le idee deliranti e le allucinazioni hanno il loro fondamento nella cenestesi alterata; e dalle sensazioni cenestesiche traggono un continuo alimento i vari deliri. «Riassumendo, afferma Ferrari, credo di aver potuto dimostrare che in tutti i casi di delirio sistematizzato di avvilimento, di colpevolezza e di rovina (lipemaniaci), come di persecuzione e di grandezza (paranoici), è sempre un’intensa condizione emotiva ciò che induce l’insorgenza e l’organizzazione dei deliri» [Ferrari 1901, 55].

Inoltre, in un saggio tra i più originali, Le emozioni e la vita del subcosciente [Ferrari 1923], discute analiticamente le precedenti teorie sulle emozioni partendo dagli studi di Langley sui sistemi nervosi autonomi per l’interpretazione biologica di certe emozioni, correggendo e completando la teoria di James. Egli avanza un’ipotesi dopo una serie di approfondimenti sperimentali, condotti assumendo come sfondo la teoria dell’evoluzione. In breve: egli attribuisce al sistema del simpatico (e non a quello cerebro-spinale), largamente inteso, il ruolo di «fondamento anatomico, di sostrato alla vita emozionale» [Ferrari 1923, 32]. Non solo: il simpatico regolerebbe la vita organica e sarebbe anche «il fondamento di quelle ‘disposizioni’ che sono tanta parte della vita subcosciente» [Ferrari 1923, 39]. Comunque, non sono numerosi i lavori scientifici pubblicati questo periodo, in cui peraltro si avverte una più rigorosa impostazione metodologica e una maggior completezza di analisi.

Abbiamo accennato che nell’ampia discussione sulla relazione di Ferrari al congresso del 1899, in cui difese l’utilizzo dei test i Binet nell’attività psichiatrica, gli psichiatri che sono intervenuti, Colucci, Angiolella, Del Greco, Bianchi, hanno espresso le ragioni del loro dissenso. Fu Sante De Sanctis, amico di Ferrari con cui carteggiò a lungo, a esprimere la posizione dominante entro la psichiatria italiana; egli affermò con franchezza, ai limiti della brutalità, che Ferrari aveva compiuto un tentativo di «detronizzare la clinica a benefizio della psicologia individuale» [Quaranta 1985, XI], e come tale votato alla sconfitta. Ferrari ha preso atto che il suo ambizioso progetto era sostanzialmente fallito, né sorte tanto diversa fu riservata alla psicologia di James, la cui opera, Principi di psicologia, ebbe un notevole successo editoriale; essa servì all’aggiornamento degli studiosi e soprattutto degli insegnanti, per i quali Giuseppe Tarozzi allestì un Compendio dei Principi di psicologia [1911], che è un’eccellente rielaborazione dei Principi.

Nel campo psichiatrico Ferrari, utilizzando il test di Binet, si occupò in modo particolare dei bambini subnormali e dei “minorenni traviati”, sia attraverso scritti in cui approfondì le ragioni di un problema che allora assunse i caratteri di una vera e propria emergenza, sia attraverso le esperienze pratiche che egli stesso compì, sia mettendo in atto una straordinaria attività verso istituzioni private e pubbliche perchè attivassero adeguate iniziative in questa direzione. Insomma, fu ampia ed efficace la sua opera innovativa volta alla creazione di soluzioni organizzative extra-manicomiali. Basterà ricordare che egli è giunto a organizzare una istituzione che prefigura il manicomio aperto e addirittura la sua sostituzione con strutture più agili e per brevi periodi; egli giunse a interrogarsi sull’opportunità di una chiusura dei manicomi. E tutto ciò sulla base di un rinnovamento metodologico ed epistemologico della stessa psichiatria e della conseguente persuasione che sia possibile una educabilità dei malati di mente e una conseguente integrazione nella società. (Quando ne parlai allo  psichiatra Franco Basaglia in un incontro padovano, fu molto sorpreso e mi chiese gli scritti di Ferrari sull’argomento).

Numerosi contributi psicologici di Ferrari riguardano il vasto campo della psicologia applicata; ricordiamo quelli per fondare una “scienza psico-giudiziaria”, altri riguardano la formulazione di una psicologia rieducativa per affrontare l’educazione dei cosiddetti deficienti, ma anche per misurare l’intelligenza dei bambini normali. Inoltre, egli ha dato un contributo di grande rilievo scientifico e psicologico nell’analisi dei traumi dei soldati che hanno partecipato alla prima guerra mondiale. Nell’ultimo periodo della sua vita si occupò di nuovi campi di applicazione della psicologia: la psicotecnica e la psicologia del lavoro, su cui scrisse lavori pionieristici. Ma il campo in cui egli usò brillantemente il test di Binet, e che è rimasto ignoto, è stato nell’approntamento e stesura delle centinaia di perizie psichiatriche che egli ha scritto, e che sono rimaste inedite (escluse poche pubblicate). Un’analisi di questo immenso materiale ci darebbe la misura della sua grande capacità di analisi psicologica cui perviene attraverso l’utilizzo del test di Binet; utilizzo che gli consente di delineare un’immagine completa del soggetto e l’individuazione esatta delle forme più o meno patologiche. (È un vasto materiale inedito che si trova nel citato Fondo Ferrari dell’università di Milano-Bicocca).

La nascita nel 1905 della «Rivista di psicologia applicata alla pedagogia e alla psicopatologia», indica fin dal titolo il progetto di Ferrari e l’idea-guida che lo anima; egli ritiene che la psicologia ispirata da James sia una disciplina sufficientemente matura dal punto di vista metodologico ed epistemologico da poter essere utilizzata nel campo della pedagogia e della psicopatologia. All’educazione, alla pedagogia scientifica e ai problemi di una riforma della scuola ha dedicato molti articoli e saggi, e quando sono stati riuniti ne è uscito un libro di 541 pagine [Mucciarelli 1984]. Egli espresse le ragioni di una collaborazione fra medici, psicologi e pedagogista, precorrendo i tempi.

Rileggendo in questa occasione i suoi molti articoli e le ricerche psicologiche e psichiatriche di questo periodo, mi confermo nell’idea che questa scelta sia stata compiuta dopo che Ferrari ha assunto un atteggiamento critico nei confronti di una eccessiva enfasi nello sperimentalismo psicologico e psichiatrico che rimaneva sostanzialmente di stampo positivistico, conseguentemente egli attribuisce via via un ruolo sempre più marcato alla psicologia come scienza in fieri, che può rinnovarsi se è parte integrante di altre pratiche sociali e culturali.

Sul piano dell’elaborazione, a mio parere Ferrari ha espresso compiutamente la sua posizione in psichiatria e nel campo della terapia in due opere: la prima è il testo di un Corso di ortofrenia [Lazzari 1984] che tenne nell’agosto 1903 a Crevalcore (Bologna), nella Scuola di pedagogia scientifica per maestri, chiamato dal Prof. Ugo Pizzoli direttore del Laboratorio di pedagogia scientifica. In questo testo Ferrari ci offre una sintesi chiara ed esauriente del suo pensiero su tale argomento, svolgendo una rigorosa descrizione e classificazione dei vari casi e tipi di frenastenici, da cui trae indicazioni pratiche per la terapia e per la loro educazione. La storica della psicologia Susanna Lazzari, che per prima si è occupata di questa opera, afferma che vi è delineato «il modo in cui il pragmatismo psicologico ed epistemologico di Ferrari lo orienti direttamente nella ridefinizione di un approccio alla cura. L’influsso di James su Ferrari qui è molto evidente. E altrettanto evidente è l’influsso delle teorie evoluzionistiche che allora si stavano ampiamente diffondendo» [Lazzari 1998, 97].

L’altra opera è L’educazione della volontà [Mucciarelli 1984], fondata sull’idea che molti dei problemi psicologici riguardanti il comportamento umano sono risolvibili attraverso una corretta educazione della volontà. Il riferimento scientifico è costituito ancora una volta dai Principi di psicologia di James (in particolare i capitoli sull’attenzione, sugli istinti e sulla volontà), utilizzati da Ferrari alla luce della sua lunga esperienza psichiatrica e psicologica. Anche in questo caso l’impianto teorico è di stampo pragmatistico, sorretto da una fiducia nelle possibilità dell’uomo di superare con le proprie forze i molti ostacoli che ci pone innanzi la vita: gli stati di abulia, le fobie, le nevrosi, ecc.

Con il manuale Ferrari si propone esplicitamente lo scopo «di esporre i principi fondamentali per una azione veramente educativa della volontà» [Mucciarelli 1984, 183], sottraendola ai “cultori” dell’ipnotismo e della suggestione, dando ad essa un più solido fondamento razionale, e agganciandola a una efficace pratica terapeutica già da lui sottoposta a una lunga verifica “sul campo”. Secondo Ferrari, la volontà non è, positivisticamente, una “facoltà dell’anima” accanto ad altre i cui caratteri siano analizzabili astrattamente, ossia al di fuori degli atti concreti; essa si manifesta sempre e solo attraverso “atti volontari”. Dopo aver definito in che cosa consiste l’atto volontario, e il ruolo decisivo che svolge l’attenzione, afferma che dal momento che «l’attenzione si dimostra la grande molla della volontà cosciente, il fondamento di ogni azione deliberata» [Mucciarelli 1984, 184], l’attività terapeutica consisterà essenzialmente in esercizi di attenzione: esercizi di attenzione respiratoria, muscolare, di concentrazione mentale, di rilassamento; egli indica tutti gli esercizi che il soggetto deve compiere. E così conclude: «La maggiore difficoltà l’ho sempre incontrata nel persuadere gli allievi che così potesse avvenire, che la cosa era semplice conseguenza delle ricordate e ripetute premesse teoriche. Ma, mentre ognuno è disposto a credere all’efficacia di qualunque medicamento gli si consigli, nessuno crede a priori che il nostro organismo sia la più ricca miniera di meraviglie. Si tratta soltanto di saperle scovare, e poi metterle in luce e in valore» [Mucciarelli 1984, 185].

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

 

Quaranta M. [1985], (a cura di), G.C. Ferrari, Scritti di psicologia, Pitagora editrice, Bologna.

 

Lazzari Susanna [1998], Giulio Cesare Ferrari psicologo e psichiatra tra Otto-Novecento, prefazione di Sadi Marhaba, Edizioni Sapere, Padova, pp. 135.

 

Ferrari G.C. [1896], I “Testi mentali” per l’esame degli alienati (Note di psicopatologia individuale), in coll. con G. Guicciardi, «Rivista sperimentale di frenatria», 1896, pp. 297-314; Dei mezzi pratici per le ricerche psicologiche individuali da adottarsi nei Manicomi  e nelle Cliniche, Reggio Emilia, pp. 23 opuscolo).

 

Ferrari G.C. [1899], Rec. di G. Villa, La psicologia contemporanea, Bocca, Milano 1899, pp. 660, «Rivista sperimentale di freniatria», 1899; ora in: G.C. Ferrari, Scritti di psicologia, a cura di M. Quaranta, Pitagora editrice, Bologna 1985, pp. 152-156.

 

Ferrari G.C. [1901], De l’examen psychologique des aliénes, in: Contralblatt für Nerveinheilkunde und Psychiatrie, Coblenz, pp. 3  (estratto).

 

Ferrari G.C. [1924], Psicologia e psicopatologia, «Rivista di psicologia», XX, n. 1, 1924, pp. 14 (estratto).

 

Ferrari G.C. [1968], Il Laboratorio di psicologia di Reggio Emilia, «Emporium», vol. VII, n. 40, ora in: G.C. Ferrari,  Scritti di tecnica manicomiale e di clinica psichiatrica, a cura di P. Soriano, Idami, Milano, pp. 220-231.

 

Ferrari G.C. [1984], Per la storia della psichiatria. Recensioni 1893/1907, a cura di M. Quaranta, Pitagora editrice, Bologna, pp. XX, 256.

 

Ferrari G.C. [1984], L’educazione della volontà, in: Mucciarelli (a cura di), Scritti di pedagogia e sulla rieducazione dei giovani, Pitagora editrice, Bologna, pp. 129-187.

 

Ferrari G.C. [1984], Autobiografia, a cura di M. Quaranta, in: G. Mucciarelli (a cura di), Giulio Cesare Ferrari nella storia della psicologia italiana, Pitagora, Bologna. L’Autobiografia fu pubblicata per la prima volta in: Murchison, C. (cura di), A History of Psychology in Autobiograohy, Clark Worcester, Mass. University Press; Oxford University Press, London 1932, vol. 2, pp. 63-88. Fu tradotta da Paola Ferrari Modiano nel 1933 per la casa editrice Zanichelli.

 

Ferrari G.C. [1985], Le emozioni e la vita del subcosciente, in: «Rivista di psicologia», 1923; ora in: G.C. Ferrari, Scritti di psicologia, a cura di M. Quaranta, Pitagora editrice, Bologna, pp. 18-42.

 

Rossi M. M. [1956], Lo spirito di Giulio Cesare Ferrari e la «Rivista di psicologia», «Rivista di psicologia», Fascicolo giubilare, Editrice universitaria, Firenze, pp. 37-42.

 

Quaranta M. [2005], I mondi di Giulio Cesare Ferrari. Psicologia, psichiatria, filosofia, Edizioni Sapere, Padova. (Carteggio William James-Giulio Cesare Ferrari, pp. 119-150).